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Redazione
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Al presidente statunitense Donald Trump i programmi della Smithsonian Institution, il più grande complesso museale, educativo e di ricerca del mondo, fondato nel 1846, proprio non vanno giù. Sui social media Trump ha accusato l’organizzazione di Washington di rappresentare la storia degli Stati Uniti in modo eccessivamente negativo. In un post pubblicato il 19 agosto sulla sua piattaforma sociale Truth Trump scrive infatti (le maiuscole sono sue): «I Musei di Washington, ma anche di tutto il Paese, sono essenzialmente l’ultimo baluardo del “WOKE”. La Smithsonian è FUORI CONTROLLO, dove si discute solo di quanto sia orribile il nostro Paese, di quanto fosse terribile la Schiavitù e di quanto siano stati fallimentari gli oppressi - Niente sul Successo, niente sulla Brillantezza, niente sul Futuro. Non permetteremo che questo accada e ho incaricato i miei avvocati di esaminare i musei e avviare lo stesso identico processo che è stato seguito nei College e nelle Università, dove sono stati compiuti enormi progressi. Questo Paese non può essere WOKE, perché WOKE È ROVINATO. Abbiamo il Paese “PIÙ CALDO” del mondo e vogliamo che la gente ne parli, anche nei nostri musei».
La Smithsonian non fa parte del governo federale e riceve poco più della metà del suo finanziamento complessivo (nell'anno fiscale 2024 1,09 miliardi di dollari) tramite stanziamenti deliberati dal Congresso degli Stati Uniti. È governata da un consiglio di amministrazione in cui siedono, tra gli altri, il presidente della Corte Suprema, John Roberts, e il vicepresidente Usa, J.D. Vance, un gruppo bipartisan di legislatori, nonché rappresentanri di spicco del mondo imprenditoriale e culturale. Alcune istituzioni sotto l’egida della Smithsonian come il National Museum of African American History and Culture (Nmaahc), propongono in effetti mostre sulla tratta transatlantica degli schiavi e sull’istituzione della schiavitù negli Stati Uniti; altri però celebrano anche le innovazioni e le conquiste degli americani; e lo stesso Nmaahc, ad esempio, dedica un intero piano ai successi degli afroamericani in campo artistico, scientifico, sportivo e imprenditoriale.
Una settimana prima del post di Trump la Casa Bianca aveva annunciato l’avvio di una revisione formale, di durata quadrimestrale, della programmazione di 8 dei 21 musei della Smithsonian: National Museum of American History, National Museum of Natural History, Nmaahc, National Museum of the American Indian, National Air and Space Museum, Smithsonian American Art Museum, National Portrait Gallery (Npg) e Hirshhorn Museum and Sculpture Garden. Al termine del processo di revisione, stando a quanto riporta una lettera inviata il 12 agosto al segretario della Smithsonian Lonnie G. Bunch, i musei dovrebbero «iniziare a correggere, ove necessario, i contenuti, sostituendo il linguaggio divisivo o ideologicamente orientato con descrizioni unificanti, storicamente accurate e costruttive».
La revisione delle politiche e dei programmi della Smithsonian da parte della Casa Bianca e il commento su Truth fanno seguito a un ordine esecutivo firmato dal presidente a marzo. Il documento imponeva a Vance di rimuovere la presunta «ideologia divisiva e incentrata sulla razza» della Smithsonian e di negare i finanziamenti a qualsiasi mostra o opera d’arte che «degradasse i valori americani condivisi». Bunch aveva risposto all’ordine esecutivo con una nota interna al personale della Smithsonian in cui si leggeva, tra l’altro: «Come sempre, il nostro lavoro sarà plasmato dal sapere, libero da partigianeria, per aiutare il pubblico americano a comprendere meglio la storia, le sfide e i trionfi della nostra nazione».
I tentativi della Casa Bianca di controllare le attività e i programmi della Smithsonian hanno suscitare aspre critiche da parte di gruppi e associazioni del settore museale e delle organizzazioni per la libertà di espressione. L’Aamd-Association of Art Museum Directors in una dichiarazione sottolinea che la Smithsonian «eccelle quando i suoi scienziati, storici e curatori possono determinare la direzione delle loro ricerche e delle loro mostre, che è parte della sua grande forza. Ribadiamo il nostro incondizionato sostegno a questa istituzione, alla sua missione e ai nostri colleghi che vi lavorano con dedizione».
Più cauti i toni della American Alliance of Museums, che in risposta alle «crescenti minacce di censura nei confronti dei musei statunitensi», avverte che quando «una direttiva impone che cosa deve o non deve essere esposto, si rischia di limitare l’accesso del pubblico alle prove, alle idee e a un ventaglio completo di prospettive. Non si tratta solo di una preoccupazione per alcune istituzioni selezionate. Queste pressioni possono creare un effetto dissuasivo in tutto il settore museale».
Anche l’American Historical Association si è espressa in merito ai controlli imposti dalla Casa Bianca: «Gli storici esercitano la loro professione con integrità, vi si legge. L'ingerenza politica nelle pratiche curatoriali professionali e nei contenuti museali ed educativi mette a rischio l'integrità e l'accuratezza dell'interpretazione storica e rischia di erodere la fiducia del pubblico nelle nostre istituzioni comuni».
Secondo Hadar Harris, direttore generale dell'ufficio di Pen America a Washington, DC, i tentativi della Casa Bianca di influenzare la programmazione dello Smithsonian s’inscrivono nel contesto più ampio delle velleità dell’amministrazione Trump di «riscrivere la storia», dai lui definiti in una dichiarazione «un tradimento delle nostre tradizioni democratiche e un tentativo estremamente preoccupante di privare della verità le istituzioni che raccontano la nostra storia nazionale, dalla Smithsonian ai nostri parchi nazionali. Le idee e la presentazione della storia non possono essere soggette ai capricci di un singolo leader o di un'amministrazione. Il gioiello della corona dei musei nazionali statunitensi, la Smithsonian, coinvolge e impiega esperti di grande prestigio per garantire l’accuratezza e l’integrità delle sue esposizioni. Esposizioni che si sono evolute nel tempo per includere maggiori sfumature e complessità. I curatori e gli storici devono essere liberi di svolgere il loro lavoro senza interferenze politiche».
«L'attuale amministrazione cerca di imporre una versione amnesica e edulcorata della storia americana, che oscura le verità più difficili della nazione e cancella gli straordinari contributi artistici e culturali delle comunità emarginate», gli fa eco Julie Trébault, direttrice esecutiva di Artists at Risk Connection, che vede nelle manovre della Casa Bianca una minaccia all'indipendenza curatoriale, alla libertà artistica e ai principi nazionali fondamentali. «Tale censura, scrive in una nota, non è solo un attacco alla Smithsonian, ma ai principi stessi della libertà intellettuale, dell'integrità artistica e del dialogo democratico. Minaccia di imbiancare il nostro panorama culturale nazionale e di impoverire la capacità delle generazioni future di confrontarsi onestamente con la nostra storia».
Nel mirino di Trump sono finiti anche altri canali di finanziamento federale per le arti, dal tentativo di eliminare l’Institute of Museum and Library Services, alla pressione sulla presidente del National Endowment for the Humanities, Shelly C. Lowe, affinché si dimettesse. Ha anche provato a reindirizzare i fondi delle agenzie culturali federali favorendo i propri interessi, dalle iniziative per celebrare il 250mo anniversario della firma della Dichiarazione di Indipendenza nel 2026, alla costruzione del cosiddetto Giardino Nazionale degli Eroi Americani.
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