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Camilla Bertoni
Leggi i suoi articoliÈ diventata un caso la villa romana di Negrar (in provincia di Verona) riscoperta (dopo il ritrovamento degli anni Venti) in mezzo a vigneti doc in una delle zone dove il costo di un metro quadrato di terra da trasformare in uve è schizzato alle stelle. Ma una zona anche tristemente famosa per la nascita di un neologismo, la «negrarizzazione», finito sul vocabolario Treccani come sinonimo di «urbanizzazione speculativa al di fuori di ogni controllo».
Il sindaco di Negrar, Roberto Grison, non ci sta e inverte la rotta segnando tre «gol»: la musealizzazione delle cave di pietra di Prun, la salvaguardia dei boschi della Val Borago e il progetto di rubare terra all’amarone per creare un parco archeologico intorno alla villa. Un progetto che vede la collaborazione, a sorpresa, dei proprietari dei vigneti in cui si trovano i resti e dei produttori vinicoli che sono in trattativa con proposte di sponsorizzazione per il proseguimento degli scavi. Scavi che finora hanno permesso di identificare solo il perimetro, molto più ampio di quanto già noto, e una piccola parte dei pavimenti musivi.
Esulta l’archeologo e funzionario della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Verona, Vicenza e Belluno Gianni De Zuccato, «padre» del progetto di ripresa delle ricerche: «Lo scavo ha permesso di recuperare nuovi ambienti, spiega, messi in luce per ora solo parzialmente. Se è confermato che si tratti di una villa rustica certamente attiva durante il III-IV secolo e frequentata fino all’età tardoantica, non abbiamo ancora dati certi su eventuali fasi precedenti. Dai settori di servizio, pars rustica e fructuaria, potrebbero venire altri dati a conferma della locale produzione vinicola in età romana».

Una veduta degli scavi della villa rinvenuta a Negrar (Vr)

Un particolare degli scavi della villa rinvenuta a Negrar (Vr)
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