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Gaspare Melchiorri
Leggi i suoi articoliIn uno studio pubblicato il primo luglio dal World Resources Institute (Wri) e dall’Unesco si legge che quasi tre quarti dei circa 1.200 siti elencati come Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco sono minacciati dalla mancanza o dall’eccesso di acqua, o addirittura da entrambi. Questa tendenza può essere arrestata o addirittura invertita se si attuano le giuste politiche, a livello locale, come la piantumazione di alberi e la protezione delle zone umide paludose, ma anche a livello nazionale e internazionale, riconoscendo l’acqua come «bene comune» dell’umanità. Ne parla un articolo pubblicato sul sito del quotidiano francese «Le Figaro».
In totale, il 73% dei 1.172 siti del Patrimonio mondiale «non marini» è soggetto ad almeno un «grave rischio legato all’acqua» (carenza di acqua rispetto al fabbisogno, o «stress idrico» per il 40%, rischio di inondazioni fluviali per il 33%), secondo il documento. Un sito su cinque (21%) «deve affrontare un duplice problema: troppa acqua un anno e poca l’anno successivo». Nel medio termine la tendenza è destinata a peggiorare, con il 44% dei siti che nel 2050 sperimenteranno uno stress idrico elevato o molto elevato, rispetto all’attuale 40%.
Le aree più a rischio si trovano in Medio Oriente, Nord Africa, parti dell’Asia meridionale e Cina settentrionale. Il rapporto illustra la situazione di quattro siti particolarmente a rischio. Due sono minacciati dalla mancanza d’acqua: le Ahwar nel sud dell’Iraq, aree paludose contenenti i resti di città mesopotamiche, e le Cascate Vittoria (o Mosi-Oa-Tunya) al confine tra Zambia e Zimbabwe. Altri due siti sono minacciati dalle inondazioni: il sito archeologico di Chan-Chan in Perù, a causa dell’intensificarsi del fenomeno climatico El Niño, e i santuari degli uccelli migratori lungo la costa del Mar Giallo e del Golfo di Bohai in Cina.
Questi santuari degli uccelli migratori in Cina sono minacciati sia dal rischio di inondazioni marittime (come quasi 50 altri siti del Patrimonio mondiale) sia dal rapido sviluppo degli insediamenti umani. «Nel 2018 la Cina ha risposto vietando i progetti immobiliari nella Baia di Bohai, una decisione accolta con favore dai gruppi ambientalisti», si legge nel testo.
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