Simona Sajeva
Leggi i suoi articoliNel 2018 la pubblicazione dell’elenco ministeriale dei restauratori qualificati sanciva la conclusione della procedura transitoria per l’acquisizione della qualifica di restauratore. Per portarla a termine e perché fosse inclusiva di tutti i percorsi qualificanti c’erano voluti anni e azioni condotte in un clima di forti polemiche. È stata dunque salutata da buona parte della categoria come una tappa importante sulla strada della propria emancipazione. La qualifica attesta i requisiti, il grado e i settori. È un riconoscimento sia di forma sia di sostanza, in quanto definisce e identifica, attraverso l’elenco ministeriale, gli operatori abilitati a intervenire sui Beni culturali. Ci sono però anche altri valori, più o meno tacitamente auspicati dalla categoria, che la qualifica aveva portato a galla: la valorizzazione del mestiere, migliori termini di lavoro e l’accrescimento della coesione interna. Che cosa è successo da allora? Quali effetti ha avuto la qualifica? Il percorso può ritenersi concluso? La categoria risulta maggiormente rappresenta e tutelata?
Non c’è stato il tempo di metabolizzare questo cambiamento prima che, nel 2020, la pandemia dapprima bloccasse e poi rallentasse le attività del settore, oltre che gli aspetti ancora irrisolti della procedura. La situazione è ora percepita come in stallo e il clima di polemiche esplicite, spesso svalutanti, ha molto demoralizzato una grossa parte della categoria fino a far interiorizzare il concetto di «sanati e condonati», come non è raro sentir dire dagli interessati.
Ne parliamo con la restauratrice Silvia Mangionello e con l’avvocato Pietro Celli (nelle foto) rispettivamente presidente e consulente legale, sin dalle origini, dell’Associazione La Ragione del Restauro (ARR), che ci aggiornano sui punti in sospeso. Per chi è dell’ambiente, l’ARR è nota per l’attività di rappresentanza nazionale di una buona parte della categoria e per la consapevolezza dell’eterogeneità di percorsi che fino al momento della procedura rendeva legittimamente possibile acquisire le competenze di restauratore. I temi su cui l’ARR continua a lavorare sono tanti: i recenti sviluppi per lo svolgimento delle prove di idoneità, la questione dei settori di competenza e di chi è stato penalizzato o escluso dalla procedura, lo stato di salute della categoria guardando al futuro.
Mangionello ripercorre le motivazioni all’origine dell’associazione (Firenze, 2010): «Al momento di concretizzare il riordino del settore purtroppo ci siamo resi conto che c’erano alcuni problemi irrisolti e che la maggior parte delle persone non sarebbe rientrata nella procedura del bando. Siamo nati come comitato spontaneo e abbiamo raccolto i dubbi, le perplessità e la preoccupazione dei restauratori e ci siamo poi rivolti a un avvocato che potesse con competenza analizzare, e quindi risolvere, il problema».
È Celli a rievocare come il tentativo di dare attuazione, nel 2009, al disposto normativo acquisizione della qualifica di restauratore dei beni culturali previsto dall’articolo 182 del Codice dei Beni culturali (Decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004), «avrebbe escluso dal mercato del lavoro la stragrande maggioranza degli operatori del settore perché quando, nel 2009, fu indetto il bando per l’acquisizione della qualifica, i requisiti erano ancorati a un Decreto ministeriale del 2001. Si sarebbe dunque azzerata tutta l’attività svolta dagli interessati nell’arco di otto anni».
A quel punto l’ARR, presieduta allora dal restauratore Andrea Cipriani, si fa portavoce di questa parte della categoria e, a seguito della presentazione con esiti positivi di ricorsi collettivi, assume la guida di una nuova fase. Preso atto che il nodo era la «modifica delle previsioni legislative che riguardavano la normativa transitoria», l’ARR predispone la prima bozza di modifica dell’articolo 182 che, ricorda Celli, «fu salutata favorevolmente. Il disegno di legge n. 2794 del 2011 fu quindi presentato sulla base della bozza di modifica legislativa da noi predisposta e fu presentato dal senatore Andrea Marcucci, al tempo in Commissione Cultura del Senato» fino ad arrivare, con la Legge n. 7 del 2013, alla modifica della disciplina transitoria del conseguimento delle qualifiche di restauratore di beni culturali e collaboratore restauratore di Beni culturali. Attuata però anni dopo, con la pubblicazione del bando per la qualifica di collaboratore restauratore nel 2014, del bando per la qualifica di restauratore nel 2015, dell’elenco dei collaboratori restauratori nel 2016e dell’elenco dei restauratori nel 2018.
Ricorda Mangionello: «I tempi sono stati talmente lunghi che nel frattempo molte persone si sono purtroppo arrese, ma soprattutto hanno influito in maniera negativa sull’autostima del restauratore. Una procedura così lunga ti fa pensare che tu per anni abbia svolto una professione che, seppur con buon esito, in teoria non avresti dovuto fare. Ho riscontrato in molti restauratori una profonda amarezza, con effetti che perdurano tutt’oggi. Si parla sempre del restauro come fiore all’occhiello italiano, ma non si è tenuto conto del patrimonio umano. Moltissimi operatori si sono demoralizzati perché il sapere del fare unito al sapere intellettuale, peculiarità del restauratore, non è stato apprezzato quanto avrebbe dovuto. Questo ha creato disistima, mancanza di sicurezza e divisione». Di questi aspetti si parla poco, eppure sono importanti. Oggi esiste un elenco unico di operatori qualificati e il restauratore viene indicato come soggetto legittimato a predisporre progetti ed eseguire interventi, ma ci sono ancora dei passaggi incompiuti.
Il Codice dei Beni culturali (articolo 182) prevede la possibilità per chi è iscritto nell’elenco dei collaboratori restauratori-tecnici del restauro di acquisire la qualifica di restauratore attraverso una prova di idoneità. Ma dal 2016 tale «previsione» non è stata ancora attuata. L’ARR ha dunque avviato iniziative a tutela della categoria professionale dei collaboratori restauratori-tecnici del restauro? «Sì, risponde l’avvocato. Per ottenere dai due Ministeri competenti, MiC e MUR, l’attuazione delle vigenti previsioni legislative è stato necessario fare ricorso al Tar del Lazio, il quale con sentenza n. 5669/2022, pubblicata il 6 maggio 2022, ha ordinato di adottare, entro il termine di 90 giorni, il decreto di indizione della procedura idoneativa con valore di esame di Stato abilitante prevista dal Codice dei Beni culturali del 2004 (articolo 182 comma 1-quinquies del Decreto legislativo n. 42/2004), in conformità a quanto previsto dal Decreto interministeriale del 2019 disciplinante le modalità per lo svolgimento della prova in questione (art. 3 del Decreto interministeriale n. 112/2019) e ha nominato un Commissario ad acta per provvedere nel caso di perdurante inerzia. Il Commissario si è insediato lo scorso dicembre (su mia richiesta in rappresentanza dell’ARR) e grazie al suo intervento la pubblicazione dei bandi per le prove di idoneità avverrà quanto prima, con ogni probabilità entro il prossimo mese di giugno. Nel frattempo si spera di ottenere una semplificazione delle procedure selettive attraverso la modifica del regolamento adottata con il decreto interministeriale, per cui continueremo a lavorare anche su questo versante».
L’Associazione stima che le persone in possesso dei requisiti in attesa di questa prova siano qualche migliaio. «Ci sono altri aspetti di cui l’ARR si sta occupando, prosegue l’avvocato, in particolare quello dei possessori di attestati di qualificazione professionale conseguiti in esito a corsi di formazione regionali di durata triennale avviati a cavallo dell’approvazione dell’Accordo Stato-Regioni (previsto dall’articolo 29, comma 10, del Decreto legislativo 42/2004) che si sono visti negare l’iscrizione nell’elenco dei tecnici del restauro. L’Associazione sta operando anche per i possessori della qualifica di tecnico del restauro di Beni cultuali (acquisita ai sensi dell’articolo 29, comma 10, Decreto legislativo 42/2004), che non hanno la possibilità di conseguire la qualifica superiore di restauratore di Beni culturali se non iniziando un nuovo percorso formativo ai sensi del Decreto ministeriale 87/2009. Non da ultimo il problema di chi è rimasto completamene fuori». C’è la possibilità oggi di recuperare operatori che non hanno partecipato al bando del 2014 e del 2015? Su questo punto l’ARR ha presentato una proposta in attesa di esame.
Per quanto riguarda i settori di competenza, oltre alla possibilità di qualificarsi con riferimento a uno prevalente o a più di essi, la disciplina legislativa anticipava la possibilità di acquisirne di ulteriori. Ad oggi però questa strada non è ancora praticabile. Spiega l’avvocato Celli: «Il problema è che non è previsto un sistema di acquisizione e riconoscimento di competenze ulteriori rispetto a quelle ottenute. È possibile che una categoria professionale rimanga bloccata sulla base di una fotografia scattata in quel momento? Se oggi il restauratore volesse far valere competenze ulteriori acquisite o acquisire ulteriori settori di competenza, non potrebbe farlo, se non andandosi a iscrivere ex novo per poter conseguire nuovamente quel titolo dopo aver seguito un corso di 5 anni». La questione è quindi più ampia e riguarda la formazione continua dei restauratori.
Quanto visto fin qui fa già emergere le difficoltà incontrate dalla categoria e il suo stato di salute. Non è infatti un mistero che ci sia stata una contrapposizione tra i restauratori formati presso le Scuole di Alta Formazione (SAF) e quelli che hanno seguito altri percorsi possibili ante 2009, con argomentazioni ormai note. Le SAF sono un’eccellenza italiana e senz’altro le probabilità che coloro che hanno avuto l’opportunità di frequentarle diventino eccellenti professionisti sono alte. Non è però chiaro come questo avrebbe potuto delegittimare tutti gli altri (sempre ante 2009). Questo problema è ancora attuale? E l’ARR come si pone in merito? A parlare è ancora Celli: «Da sempre abbiamo riconosciuto la formazione presso le SAF come una formazione di eccellenza, ma non siamo affatto d’accordo che tutti gli altri operatori rientrino in una “categoria professionale residuale”». Le divisioni difficilmente giovano ai divisi. Proviamo a immaginare se, in via ipotetica e approssimata, questa discriminazione avesse luogo. Che cosa accadrebbe? L’ARR ha fatto i conti: «I diplomati SAF formati prima del 2009 potrebbero essere 5-600 unità, a fronte di una platea di restauratori che conta 6-7mila operatori, che comunque sono stati inclusi nell’elenco. Seicento restauratori non possono reggere una piazza come quella italiana. Seimila sì, seicento sono pochi».
Possiamo dunque concludere che tutti i 6mila operatori presenti nell’elenco sono considerati restauratori con pari opportunità? In realtà il problema sussiste in quanto Silvia Mangionello ha registrato il malcontento di molti colleghi che lamentano il fatto che in certi ambiti e per certi tipi di incarico ancora oggi a chi non ha frequentato le SAF vengono affidate più manutenzioni che restauri. Sono casi isolati o sono assimilabili a prassi? Sarebbe utile censirli, anche per capire le eventuali motivazioni. Capire aiuterebbe tutte le parti. I restauratori sono in condizione di far fronte comune? Mangionello ci tiene a precisare che ai tempi dei primi ricorsi è stato complesso procedere, ma questo non vuol dire che i restauratori siano in contrapposizione tra di loro, anzi. «Sarebbe bene trovarsi e discuterne in maniera molto serena per il bene di questa eredità culturale».
Conclude Celli: «La qualifica, è valsa o no a far emergere una vera e propria categoria professionale? La categoria esiste a seguito della costituzione dell’elenco dei restauratori o è cambiato poco con la costituzione degli elenchi tra 2017 e 2018? Le aspettative degli operatori del settore risultano soddisfatte oppure no? Che cosa è cambiato nella loro attività professionale? Occorre avere il polso della situazione». Mangionello non ha dubbi: «Abbiamo parlato più volte della necessità di fare una sorta di sondaggio». È proprio del restauratore saper coniugare valori e saperi umanistici, tecnici e scientifici. Dare voce ai diretti interessati (il bene culturale umano, come Mangionello definisce la categoria dei restauratori) permetterebbe di quantificare e valutare gli effetti del nuovo stato di cose prima che una parte dei restauratori rinunci al mestiere.
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