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Maria Sancho-Arroyo Puliti
Leggi i suoi articoliL’ambasciatore Pasquale Terracciano è nato a Napoli, dove si laurea in giurisprudenza, e intraprende la carriera diplomatica nel 1981. Dopo il primo incarico alla Direzione Generale del personale del Ministero Affari Esteri, nel 1985 diventa console a Rio de Janeiro e dal 1989 al 1992 è Primo Segretario alla Nato a Bruxelles. Nel 1996 arriva a Londra come Primo Consigliere dell’Ambasciata d’Italia a Londra. Come lui stesso racconta nella prefazione del libro L’Ambasciata d’Italia a Londra, edito da Allemandi, «nelle lunghe giornate, e nottate, di studio per il concorso diplomatico, sognavo di essere destinato a Londra».
Il suo sogno si avvererà di nuovo nel maggio del 2013, quando dopo altri prestigiosi incarichi tra cui Ambasciatore a Madrid dal 2006 al 2010, Capo di Gabinetto del Ministro degli Affari Esteri e consigliere diplomatico del Presidente del Consiglio dei Ministri, torna come Ambasciatore alla Corte di San Giacomo. Un perfetto gentleman, che insieme a sua moglie Karen s’impegna per far conoscere le tante eccellenze italiane, tra cui l’arte e la cultura, nel mondo, l’ambasciatore Terracciano ha conseguito negli ultimi anni risultati eccezionali in tutti i campi: dall’economia, con la promozione di importanti investimenti nel nostro Paese (da ultimo il rientro in Italia di oltre 1,3 miliardi illegalmente depositati in trust fund a Jersey), alla cultura, assistendo nel recupero di due importanti pale di Giorgio Vasari e svolgendo un ruolo fondamentale a sostegno, anche tramite un’efficace azione di fundraising, della creazione e del rafforzamento della Scuola Italiana a Londra. Senza contare il supporto della crescente comunità italiana nel Regno Unito, con la riorganizzazione e il potenziamento del Consolato Generale di Londra.
La pubblicazione di questo volume, fortemente voluta dall’ambasciatore e da sua moglie, è testimone del lavoro istituzionale nell’interesse dell’Italia e di come l’ambasciata contribuisca quotidianamente, anche attraverso la custodia e la valorizzazione della sua importante collezione d’arte, alla promozione della cultura italiana. In un periodo caratterizzato da grande fluidità politica e da tensioni internazionali, la cultura recupera centralità come strumento di politica estera per costruire ponti e sottolineare valori identitari condivisi.
Ambasciatore, perché pubblicare un libro sulla collezione d’arte dell’ambasciata?
Mancava una pubblicazione sulla storia della sede e della sua collezione di arte, e degli Ambasciatori che si sono succeduti quali «Master of the House» pro tempore del numero 4 di Grosvenor Square, che seguisse un criterio più approfondito, scientifico e rigoroso. La ricerca che tale progetto ha comportato ha permesso di scoprire particolari storici di alcuni tra i più importanti pezzi della collezione e di valorizzarli.
L’Italia è un Paese che gioca un ruolo di primo piano nella storia dell’arte. Secondo lei, è importante per l’Italia presentare il proprio soft power attraverso la cultura?
Come affermato una volta da Henry Kissinger, «l’Italia è la superpotenza mondiale della cultura», per cui per il nostro Paese è quasi naturale svolgere un ruolo di leadership in tale settore. Questo si declina in più ambiti: dal nostro forte ruolo nella tutela dell’arte nelle zone di conflitto alla difesa del patrimonio artistico nazionale. L’ambasciata è infatti intervenuta numerose volte, in collaborazione con il Comando dei Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, per assicurare il recupero di arte trafugata.
Nella storia si trovano molti esempi dell’arte usata come veicolo per sviluppare relazioni tra Stati. Può indicare un esempio in epoca contemporanea, in cui l’arte abbia contribuito a favorire le relazioni tra l’Italia e un altro Paese?
Quando, dagli anni Trenta agli anni Sessanta, la collezione dell’Ambasciata d’Italia a Londra fu messa insieme, l’approccio curatoriale fu improntato non solo a rappresentare l’eccellenza italiana nelle varie arti figurative, ma anche quale strumento volto a facilitare i rapporti con i partner britannici. Si possono citare come esempi le vedute di Giovanni Paolo Panini presenti anche in tante importanti collezioni britanniche, «La battaglia dell’Allia» del Maestro degli Argonauti, in passato collegata a un pannello dell’Ashmolean Museum di Oxford, e i ritratti seicenteschi di nobildonne inglesi, provenienti dalla collezione de’ Medici, dello studio di Sir Peter Lely, pittore di corte di Carlo II. La presenza di queste opere sosteneva allora come oggi l’azione diplomatica, sottolineando i tanti ponti storico culturali esistenti tra i nostri due Paesi.
Lei, che ha vissuto in molti Paesi, riconosce un approccio unificato da parte della Farnesina verso la promozione della cultura italiana nei Paesi di accreditamento? Secondo lei in quale misura i risultati conseguiti dipendono dall’impegno personale dell’ambasciatore?
La promozione culturale italiana rientra in una strategia di promozione del Sistema Paese e quindi occupa un ruolo fondamentale nella politica estera dell’Italia e costituisce uno dei principali strumenti di proiezione esterna. Quindi gli stessi principi vengono applicati in tutta la rete diplomatica. Ciò non toglie che il coinvolgimento diretto del Capo missione, soprattutto per quanto riguarda specifici progetti culturali che coinvolgono più istituzioni di diversi Paesi, possa avere un impatto positivo sulla loro riuscita. Nella fattispecie, la realizzazione della pubblicazione L’Ambasciata d’Italia a Londra è dipesa fortemente dal desiderio mio e di mia moglie Karen di valorizzare i trascorsi dell’ambasciata e l’importante valore storico artistico del suo patrimonio.
Le nostre ambasciate devono essere arredate con opere tutte italiane oppure si dovrebbe lasciare spazio a opere del Paese ospite?
Nell’attuale congiuntura mondiale di incertezza e di polarizzazione, l’incontro attraverso la cultura è fondamentale. Fermo restando che in quanto Paese dal patrimonio culturale ricchissimo le nostre opere vadano valorizzate e le ambasciate offrano delle vetrine prevalentemente italiane, è tuttavia auspicabile che esse rimangano anche aperte ad accogliere esempi della cultura autoctona per mostrare apertura e favorire una confluenza e uno scambio tra le culture. La nostra collezione ospita anche quattro importanti opere dell’artista seicentesco inglese Sir Peter Lely, provenienti dalle collezioni medicee che ricordano i già proficui e intensi rapporti esistenti tra gli stati preunitari e l’Inghilterra.
Numerose opere d’arte italiane viaggiano in altri Paesi per mostre temporanee. Che ruolo hanno le ambasciate nel favorire tali prestiti?
In gran parte dei casi il prestito delle opere d’arte tra istituzioni culturali avviene tramite contatti diretti. Ma sono numerose le occasioni in cui l’ambasciata è intervenuta per agevolare l’iter burocratico e la tempistica per la finalizzazione dei prestiti. Solo per citare alcuni esempi, negli ultimi anni abbiamo assistito il Victoria & Albert Museum per la mostra «Botticelli Reimagined» (che peraltro ha visto per la prima volta dal giugno del 1940 il ritorno a Londra di una Venere del Botticelli che allora faceva parte della Collezione dell’ambasciata), la Royal Academy per una grande retrospettiva su Giorgione, che ha visto una ventina di grandi capolavori in arrivo dal nostro Paese, oltre alla recentissima mostra dedicata ai disegni di Raffaello all’Ashmolean di Oxford.
Molte ambasciate sono state arredate nella prima meta del ’900 con una combinazione di prestiti da musei italiani e di opere acquistate dallo Stato. Da allora sono state poche le nuove acquisizioni e raramente si trovano opere d’arte moderna e contemporanea. Lei come vedrebbe dei Fontana, Burri, Boetti, ad esempio, esposti nelle ambasciate? Sarebbe a favore di prestiti da parte di privati e gallerie?
Sono sicuramente a favore di una commistione tra grandi maestri del passato e artisti contemporanei di qualità in un dialogo tra antico e moderno che riesca a ritrarre in modo più rappresentativo il grande patrimonio storico artistico del nostro Paese. In merito ai rapporti con i privati, negli ultimi anni il numero di gallerie italiane presenti a Londra è cresciuto in modo significativo e abbiamo già avuto occasioni di collaborazioni che hanno dato esiti positivi.
Se lei avesse la possibilità di arredare l’ambasciata completamente a suo gusto e potesse scegliere qualsiasi opera appartenente a musei italiani, quali sceglierebbe?
Per me l’arredamento è perfetto cosi com’è. Se potessi però aggiungere un’opera ulteriore per dare un «ultimo tocco», allora mi piacerebbe veder tornare in ambasciata la «Venere» del Botticelli sino al 1940 al 4 di Grosvenor Square e attualmente presso la Galleria Sabauda di Torino.
I tesori di Grosvenor House Il nuovo libro dedicato all’Ambasciata d’Italia a Londra si differenzia da precedenti analoghe pubblicazioni non solo per la qualità e il formato ma anche per l’approccio scientifico e rigoroso, frutto di un’analisi storico artistica delle principali opere conservate nell’ambasciata. La ricerca storica e lo studio approfondito di documenti d’archivio, includendo la corrispondenza archivistica tra il Ministro degli Affari Esteri, la Farnesina di Roma e i vari ambasciatori di Londra, ha portato a scoperte notevoli sulla provenienza di molte opere tra cui la più importante è la certezza che il tavolo a commesso di marmi antichi sito nell’ingresso è giunto da Palazzo Barberini. Questo tavolo era stato menzionato nella letteratura dal 1934, ma mai descritto e studiato in profondità.
Rappresenta forse il più grande commesso romano, dopo il celeberrimo tavolo Farnese del Metropolitan Museum di New York. Il libro documenta la splendida collezione di arazzi, tutti in prestito da Firenze, e in particolare il gruppo di sei spalliere a grottesche, all’ambasciata dal 1933, proveniente dagli Uffizi dove si trovano le altre quattro della stessa serie. Tessuta in lana e seta con filo avvolto in argento e oro, la serie fu commissionata dal granduca Cosimo I per decorare, in occasioni speciali, le pareti della Sala dell’Udienza di Palazzo Vecchio. Il volume, infine, è incentrato sulle ricche collezione d’arte (saggio di Maria Sancho-Arroyo Puliti) ma è utile anche per far conoscere la storia della residenza (Michael Hall) e le relazione diplomatiche cui l’ambasciata ha fatto da silenziosa testimone (Sergio Romano).