Antonio Aimi
Leggi i suoi articoliLa famosissima città inca patrimonio dell’Unesco è stata recentemente al centro di un articolo di «Nature», che ha presentato i risultati delle ricerche in situ che la missione italiana Itaca del Cnr sta conducendo dal 2017 in collaborazione con l’Università di Varsavia e con una squadra del Ministero della Cultura del Perù, diretta da José Bastante. L’articolo non presenta la storia della città, ma ricorda che le datazioni al carbonio 14 fatte nell’ambito del progetto hanno confermato che essa risale gli inizi del XV secolo, come emerge, grosso modo, anche dalle fonti etnostoriche sulla cultura inca. L’interessante di questi studi è che riescono a combinare i dati di scavo con i metodi e con le tecnologie EO (Earth Observation) e, grazie ai dati dei rilevamenti fatti con satelliti e aerei, consentono di vedere sotto la superficie del terreno e di fare analisi geomagnetiche.
Presentando queste ricerche, Nicola Masini, direttore della missione del Cnr, ha dichiarato che «quando non si può scavare è bene studiare il materiale d’archivio e integrare le informazioni con altre che possiamo oggi ricavare utilizzando le moderne tecnologie di indagine non invasiva. È quello che abbiamo fatto noi a Machu Picchu. Ci interessava sapere che cosa nascondesse il sottosuolo della città. Allargando l’areale informativo di un paio di saggi scavo realizzati in passato con osservazioni ed elaborazioni multispettrali oltre a prospezioni geoelettriche, georadar e geomagnetiche abbiamo scoperto com’era Machu Picchu prima che diventasse tale. In origine il sito era un piccolo bacino idrografico che era utilizzato come cava da cui estrarre materiale lapideo per realizzare i primi terrazzamenti dei due settori urbani dell’Hurin, la parte bassa della città, e dell’Hanan, quella alta».
In particolare, da queste ricerche emerge che la Plaza Principal era un «work in progress», perché in un primo tempo era stata costruita come piazza ribassata e solo successivamente, dopo che gli Inca avevano deciso di rialzarla e allargarla, ha preso l’aspetto che ancora oggi possono vedere i turisti. Nell’articolo, inoltre, da un lato, si spiega che i terrazzamenti del sito erano il risultato dei lavori di drenaggio fatti per evitare crolli e smottamenti di un terreno ripido e caratterizzato da intense piogge e, dall’altro, si ricorda che queste opere erano il risultato di tecniche costruttive efficaci, come dimostra il fatto che, nonostante l’abbandono della città, hanno resistito per circa quattro secoli senza lavori di manutenzione.
Com’è noto, l’esigenza di controllare i flussi dell’acqua non era un problema solo di Machu Picchu, ma anche di molti altri insediamenti inca della valle dell’Urubamba che grosso modo presentavano e presentano lo stesso quadro ambientale e geografico, anche se lo scenario della città fatta conoscere da Hiram Bingham (nel 1911, Ndr) rimane incomparabile. Cosa che l’ha collocata, meritatamente, tra le nuove sette meraviglie del mondo.
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