Flaminio Gualdoni
Leggi i suoi articoliL’inaugurazione di un archivio d’artista non fa più notizia: ormai, per fortuna, gli archivi stanno dilagando, e riguardano più o meno tutti gli autori degni di interesse. Essi non sono solo, come pensano alcuni mercanti e alcuni collezionisti non disinteressati, il luogo che rilascia il «documento di identità» di un’opera, facilitandone la circolazione. Questa è una delle incombenze, certo, ma non la principale. L’archivio conserva spesso, ma non necessariamente, opere dell’autore, che possono essere collocate in un altro spazio apposito, ma il suo ruolo principale riguarda la bibliografia, le lettere, gli scritti, gli appunti, gli studi, ovvero tutto il materiale cartaceo e fotografico che si conosce relativamente al suo lavoro, e che consente di approfondirne la conoscenza. Occorre anche, ça va sans dire, la presenza di qualcuno che l’artista lo studi, che ne conservi e tramandi la memoria (la memoria qui è un fatto di conoscenza, non di retorica), amplificandola.
L’altro giorno sono stato favorevolissimamente colpito dalla nuova apertura dell’archivio dedicato a Bruno Di Bello (1938-2019), e per varie ragioni. La prima è che considero Di Bello, scomparso nel 2019, uno degli artisti più importanti della generazione nata nel decennio Trenta del secolo scorso, particolarmente fervido: pioniere della sperimentazione sulla tela fotosensibile, l’ha utilizzata per esplorare concettualmente la luce come responsabile della nascita delle forme e delle apparenze. Delle immagini, insomma, da nipotino sagace di Man Ray e Marcel Duchamp.
Nasceva però pittore, Di Bello, a Torre del Greco (Na), con il Gruppo 58, in odore di Arte nucleare, da Luigi Luca Castellano a Lucio Del Pezzo, e con le agguerrite riviste d’avanguardia «Documento Sud» e «Linea Sud». Il suo uso della tela fotosensibile, avviato nel 1967, è tutto concettuale, e tutto legato all’idea di arte: Di Bello non è un fotografo che si volge all’arte, come il pur geniale Ugo Mulas (che avvia le sue «Verifiche» nel 1968, e pubblica il fondamentale La fotografia nel 1973), ma un autore che esplora confini tecnici e non solo, che reinventa un territorio possibile in cui praticarla, l’arte. Nel volgere di brevissimo tempo ha successo: ma non essendo un «produttivista» che asseconda il mercato secondo la bisogna, rimane sempre appartato (questa era la sua indole, anche se era tutt’altro che un musone), una figura carismatica ma mai popolare.
Un archivio serve ora a riannodare i fili di quei trascorsi importanti, e lo fa nel modo migliore. Paola Di Bello, tra le figlie di Bruno colei che più ne ha ereditato le passioni, è a sua volta un’eminente autrice, ben nota al mondo dell’arte nuova. Il luogo fisico è l’ultimo studio di Bruno, a Milano, uno spazio che permette anche di concepirvi mostre mirate. Per inaugurare l’archivio ecco dunque un’esposizione, «Procedimenti», che affianca opere del padre e della figlia, a indicare continuità e discontinuità, affinità e distanze tra due generazioni. Ecco un destino perfetto per un archivio: essere luogo di ragionamenti critici, di documentazioni, di interrogazioni soprattutto: che non conferisca medaglie alla memoria ma dove d’arte si continui a discorrere a proposito, dunque.
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