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La luce è quella abbacinante di Los Angeles; la tecnica per restituirla agli occhi dell’osservatore, stimolando all’estremo la sua retina, è simile (sebbene le dimensioni delle sue tacche di colore siano ben diverse) a quella di cui si servivano i pointilliste francesi e i divisionisti italiani tra la fine dell’800 e i primi anni del ‘900: accostare, secondo le leggi dell’ottica, tocchi puntiformi di colori puri in modo da esaltare il loro (già altissimo, in questo caso) potenziale luminoso. E curiosamente anche i significati simbolici e panteistici di cui Jennifer Guidi (Usa, 1972; da oltre vent’anni basata a Los Angeles) nutre i suoi dipinti sono molto simili a quelli di cui i nostri divisionisti, nel pieno della stagione simbolista, nutrivano i loro. Cercando le radici del suo lavoro si parla di Hokusai, di J.W.M. Turner e della poetessa-pittrice libanese Etel Adnan, che «ritrasse» il Monte Tamalpais (California settentrionale) durante tutte le stagioni. Ma, per noi europei, come non pensare allo sfolgorio di quel capolavoro che è «Il Sole», 1904, di Giuseppe Pellizza da Volpedo (artista che in autunno sarà protagonista di un’importante mostra alla Gam di Milano), vedendo i soli radianti che abbagliano tutti i suoi dipinti? O come non pensare alle tacche di colori vibranti con cui, nello stesso 1904, Matisse dipinse «Luxe, calme et volupté»? Solo suo, e intensamente americano, è invece il gigantismo dei paesaggi di Jennifer Guidi, che in questi dipinti allegorici compone frammenti reali del paesaggio marino o montano della West Coast, da lei esplorato nelle sue escursioni-immersioni nella natura. E solo sua è anche la tecnica, che la vede impastare robuste dosi di sabbia con i colori a olio o acrilici stesi sul supporto di lino grezzo in uno strato spesso, ruvido e pastoso, su cui in seguito interviene scavandolo in profondità con attrezzi appuntiti, fino a ricavare una superficie tridimensionale, in cui le ombre si sommano e si oppongono alla vividezza dei colori abbaglianti.

Uno dei dipinti di Jennifer Guidi esposti da MASSIMODECARLO. Courtesy MASSIMODECARLO
Dodici nuove opere su lino di Guidi, insieme a quattro bronzi dipinti e a un’opera su carta, riuniti nella mostra «Points on Your Journey», invadono dal 1 aprile al 24 maggio con la loro forza selvaggia gli spazi iper-borghesi e iper-urbani progettati negli anni ’30 da Piero Portaluppi per Casa Corbellini-Wassermann, la sede milanese di MASSIMODECARLO in viale Lombardia 17, e ingaggiano un corpo a corpo con le sue linee rigorose, ora trasfigurate però dalla squillante moquette rosa che è stata stesa per quest’occasione in ogni sua stanza, mentre i campioni geologici della collezione dell’artista, esposti sugli scaffali della galleria, entrano in risonanza con i marmi pregiati che Portaluppi utilizzò qui, secondo il modello severo e opulento al tempo stesso della migliore architettura milanese degli anni ’30.