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«Sacrilege» (2012-18) di Jeremy Deller a CityLife, Milano

Foto: Marco De Scalzi. Cortesia della Fondazione Nicola Trussardi, Milano

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«Sacrilege» (2012-18) di Jeremy Deller a CityLife, Milano

Foto: Marco De Scalzi. Cortesia della Fondazione Nicola Trussardi, Milano

Jeremy Deller: «Porterò gli dèi a Trafalgar Square»

Le celebrazioni per il bicentenario della National Gallery culmineranno nel 2025 con un «baccanale» di ispirazione barocca organizzato dall’artista londinese

Louisa Buck

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Jeremy Deller (Londra, 1966) è divenuto noto per aver sfidato le convenzioni del mondo dell’arte e per essere stato il pioniere di nuove forme d’arte collaborative realizzate con persone e gruppi sociali che vanno dai fan dei Manic Street Preachers ai giardinieri di Münster e al proprietario di un nightclub, Peter Stringfellow. Ha organizzato parate cittadine a San Sebastián e a Manchester, ha presentato un’epica rievocazione di uno dei più feroci scontri dello sciopero dei minatori del carbone degli anni Ottanta, ha indetto un concorso per la progettazione di una casa per pipistrelli e ha girato l’America con un’auto distrutta presa dal luogo di un attentato a Baghdad. Ora Deller, che ha vinto il Turner Prize nel 2004 ed è stato nominato trustee della Tate nel 2007, è stato incaricato dalla National Gallery di concludere le celebrazioni del bicentenario nel luglio 2025 con una performance pubblica intitolata «The Triumph of Art».

Che cosa ha progettato per «The Triumph of Art»?
Sono ancora in fase di ricerca, ma si tratterà di una processione per le strade del centro di Londra che si concluderà con una festa di compleanno per la National Gallery a Trafalgar Square. Si tratta di una grande festa sul genere di un baccanale con performance e musica dal vivo nella piazza. Sarà a ingresso libero, qualcosa a cui tutti potranno partecipare.

Lei sta lavorando con quattro partner in tutta la Gran Bretagna: The Box a Plymouth, Duncan of Jordanstone College of Art & Design a Dundee, Mostyn a Llandudno e The Playhouse a Derry. In che cosa consiste il loro coinvolgimento?
Poiché si tratta della National Gallery, sono stato incaricato di viaggiare per la Gran Bretagna a collaborare con persone e organizzazioni fuori Londra. Ogni città ha un curatore, che lavora per mio conto, esperto della sua area locale. Mi aprono le porte, mi aiutano a trovare le persone e a lavorare sui temi.

L’opera commissionata dalla National Gallery s’intitola «The Triumph of Art», ma conoscendo i suoi precedenti, presumo che significhi «arte» nel senso veramente più ampio del termine.
Mi interessa spingere il limite di ciò che è accettabile per essere definito arte, chi la fa e quali sono i suoi limiti, se ce ne sono. Ciò che esiste ai margini per me è sempre interessante. L’arte è un evento e non è solo pittura, quindi sarà un mix molto ampio di persone diverse. Lavoreremo con individui di tutte le età e, cosa molto importante, sarà anche divertente. Naturalmente si tratta della National Gallery, ma anche di Trafalgar Square, che ha una storia incredibile in termini di ciò che è avvenuto in quel luogo, quindi faremo riferimento anche a questo.

Lei si è formato come storico dell’arte e ha citato come fonte di ispirazione i baccanali, gli dèi «indisciplinati» e i bagordi dionisiaci raffigurati nei dipinti della National Gallery, oltre al folklore britannico e alla cultura rave.
Sì, ci ispiriamo a quei dipinti perché sono storie senza tempo. Quindi, guardiamo alle mitologie, alle celebrazioni e al cattivo comportamento; per me, tutto questo è molto importante.

Quindi «The Triumph of Art» sarà una fusione tra la cosiddetta «arte alta» della National Gallery e forme di cultura più popolari?
Penso che esista una grande connessione tra questi due ambiti. Faccio parte dell’establishment dell’arte, ho frequentato il Courtauld Institute e sono un artista fiduciario della Tate. Conosco molto bene il mondo dei musei, mi piace e mi sento a casa mia. Ma capisco anche che questo è solo un aspetto del mondo dell’arte e della creatività. Gli artisti traggono molta ispirazione dalla cultura intesa in senso più ampio, dall’arte popolare e dal vernacolo, che per loro è molto stimolante. Lo stesso vale per me. E comunque, molte usanze ed eventi popolari non sono poi così lontani dalle feste e dai rituali che coinvolgevano gli dèi greci. È solo un impulso umano di divertimento: che si tratti di druidi o di baccanali, è solo gente che fa festa in un bosco.

Che cosa significa per lei la National Gallery?
Ricordo di esserci andato con mio padre quando avevo circa dieci anni. Sono cresciuto a Londra, non ero un bambino sportivo e andavo spesso nei musei con lui: l’Imperial War Museum, l’Horniman Museum (che conserva collezioni di antropologia, storia naturale, strumenti musicali e un’ampia raccolta di animali imbalsamati, Ndr) e poi la National Gallery. Ho un primo ricordo del dipinto «L’esecuzione di Lady Jane Grey» (1833) di Paul Delaroche. Mi colpì molto, credo che sia stato in parte per la sua dimensione: a un bambino piccolo sembrava a grandezza naturale. Ma mi colpirono anche il fatto di camminare in quelle sale e l’atmosfera generale, oltre che le singole opere.

Lei ha studiato l’arte barocca al Courtauld Institute. Che cosa la attraeva di quel periodo?
Il dramma e la rottura dei generi. L’ordine e la tranquillità del Rinascimento sono stati distrutti dal Barocco, o almeno così mi è sembrato. Era molto più eccitante e viscerale. Andavamo spesso alla National Gallery, dove insegnava la storica dell’arte barocca Jennifer Fletcher, e stavamo davanti a un dipinto per quasi un’ora mentre lei ne parlava. Ricordo che guardammo «La cena in Emmaus» di Caravaggio così a lungo che alla fine eravamo quasi allucinati.

C’è qualche opera della National Gallery che torna più spesso a rivedere?
Il mio dipinto preferito, in realtà, non è finito. È «The Shrimp Girl» («La ragazza dei gamberetti») del 1743 di William Hogarth. Per anni ho pensato che indossasse un cappello molto elegante, ma in realtà ha dei gamberetti in testa, che probabilmente sarebbero da vendere. Mi piace l’ambiguità: pensi che sia un membro dell’aristocrazia, una signora di Gainsborough, e poi ti avvicini e capisci che in realtà è una donna della classe operaia che vende gamberetti per le strade di Londra. Sorride e forse il suo atteggiamento voleva essere amichevole con la gente: è così che vendeva i suoi gamberetti. Si tratta quindi di un dipinto piuttosto complesso, anche se è quasi solo un disegno, e penso che sia un’immagine piuttosto commovente, assolutamente tipica di Hogarth, che era interessato alla gente della classe operaia.

In occasione del duecentesimo compleanno, quale importanza riveste oggi la National Gallery?
Innanzitutto costituisce una fonte d’ispirazione rendersi conto che nessuna idea è nuova. Le persone pensano alle stesse cose da centinaia di anni. Il fatto che sia gratuita e aperta a tutti dà un senso di proprietà. Queste opere appartengono a tutti e ciò è davvero importante.

Louisa Buck, 23 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

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