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«Scontro di situazioni» (1959), di Emilio Vedova. Collezione privata

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«Scontro di situazioni» (1959), di Emilio Vedova. Collezione privata

L’Informale italiano racconta i traumi della guerra

Nel Palazzo delle Paure di Lecco l’allestimento di una sessantina di opere che a Burri, Afro, Fontana, Morlotti accosta nomi meno noti o dimenticati

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Proseguendo lungo le vie del suo progetto «Percorsi del Novecento», ideato come ricognizione puntuale dei grandi movimenti artistici italiani tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900, il Palazzo delle Paure di Lecco presenta dal 15 marzo al 30 giugno la mostra «Informale. La pittura italiana degli anni Cinquanta» (catalogo Ponte43-ViDi cultural), prodotta da ViDi cultural con il Comune di Lecco e curata da Simona Bartolena.

Protagoniste del percorso, formato da oltre 60 opere, sono figure come Afro, Burri, Chighine, Fontana, Moreni, Morlotti, Tancredi, cui si aggiungono i pittori del Realismo esistenziale Ceretti e Romagnoni, e altri ancora: tutte personalità inevitabilmente segnate, per ragioni generazionali, dai traumi della Seconda guerra mondiale, che attraverso la materia informe o la gestualità del segno lasciano erompere sulla tela la loro più profonda interiorità, ognuno con modi differenti e personali.

E più che mai ciò accade, avverte Simona Bartolena, con i più famosi (e più grandi) di loro, Fontana e Burri, che «danno vita a ricerche autonome e uniche, impossibili da ascrivere a una definizione o a una singola tendenza». Proprio per questa ragione la mostra lascia spazio anche a coloro che, meno noti e talora perfino dimenticati ma di grande spessore artistico, hanno saputo dare il proprio apporto ai linguaggi dell’Informale. Linguaggi, questi, che furono identificati, ma per scelta non «codificati», dal critico francese Michel Tapié (personalità in stretto rapporto con l’Italia), che infatti si sarebbe allontanato dalla sua creatura quando, nel corso degli anni, questa si sarebbe trasformata in una sorta di «accademia».

A Tapié si deve la creazione del termine «Informale» («Informel» o anche «Art autre»), che ben rappresenta i diversi versanti di un codice lasciato volutamente libero dal suo teorico: da un lato l’uso, come strumento espressivo, di una materia fermentante e, per così dire, autogenerantesi, dall’altro l’utilizzo di segni concitati, non controllati dalla ragione. A unificarli, il tentativo comune a tutti di elaborare, ancora immersi fra le macerie, i lutti della guerra appena conclusa, esprimendo le ferite del proprio inconscio in modo irrazionale, sempre in bilico tra Nietzsche e il pensiero esistenzialista. Movimento sovranazionale, diffuso in Europa e, con modalità non uguali ma affini, anche negli Stati Uniti, l’Informale avrebbe visto i suoi modi prometeici e tardoromantici cancellati, per reazione, negli anni ’60 dalla fredda, deliberatamente anaffettiva registrazione della realtà operata dalla Pop art.

«Scontro di situazioni» (1959), di Emilio Vedova. Collezione privata

Ada Masoero, 13 marzo 2024 | © Riproduzione riservata

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