Stefano Miliani
Leggi i suoi articoli«Secondo la Fondazione Paul Getty l’Atleta di Fano non apparterrebbe al patrimonio culturale italiano, lo avrebbe prodotto un’officina greca, sarebbe stato esposto in un grande santuario razziato dai Romani e, nel caso, sarebbe l’odierna Grecia a poter richiedere la restituzione della statua. Ma se da una parte non si può applicare un principio contemporaneo al mondo antico, dall’altra non esiste alcun indizio a favore dell’esposizione o provenienza da un territorio greco. E quell’officina greca poteva avere sede in Italia».
Sono le parole di Rachele Dubbini, professoressa di Archeologia classica all’Università di Ferrara. La studiosa parla con cognizione di causa: è lei l’autrice della relazione commissionata dal Ministero della Cultura con cui il nostro Paese ha difeso di fronte alla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo il diritto a confiscare il magnifico bronzo attribuito da alcuni studiosi a Lisippo. La Corte ha respinto all’unanimità il ricorso del Getty per violazione della protezione della proprietà: va riconsegnato all’Italia l’Atleta pescato in Adriatico al largo della costa marchigiana, sbarcato a Fano nel 1964, transitato nel nostro territorio senza avvisare le autorità, acquistato dal Getty nel 1977, conservato nella Villa Getty a Malibu in California. L’istituto californiano non ha più alternative. Nel novembre 2018 la Corte di Cassazione aveva confermato la correttezza della confisca emessa dal Tribunale di Pesaro sulla base di quanto documentato dal Ministero e dal Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio culturale.
Anconetana del 1979, Rachele Dubbini è tra l’altro cocuratrice con Jessica Clementi e Mariateresa Curcio del volume Un atleta venuto dal mare. Criticità e prospettive di un ritorno (220 pp., L’Erma di Bretschneider, Roma 2023, € 72). Al «Giornale dell’Arte» sintetizza la relazione con cui l’avvocato Lorenzo D’Ascia ha potuto vincere questa battaglia legale per il dicastero diretto da Gennaro Sangiuliano.
Dubbini, come ha argomentato la sua relazione in risposta alla Fondazione statunitense?
Come dicevo, non esistono indizi che l’Atleta fosse esposto in territorio greco. Né abbiamo idea del relitto in cui probabilmente si trovava. Forse non era neanche un relitto. Può anche darsi che fosse esposto in un contesto marchigiano: la città greca più vicina al ritrovamento è Ancona. Nessun elemento sostiene che aveva fatto parte dell’antico patrimonio greco invece di quello romano. Né è corretto applicare principi contemporanei al mondo antico, soprattutto di epoca ellenistica quando tutto il Mediterraneo era greco, la cultura greca era la «koiné». Il bronzo potrebbe anche essere stato prodotto da un’officina microasiatica.
Vale rimarcare quanto ha detto: non si possono applicare i principi di oggi all’antico.
No, non si può. Oltretutto quel modello, con un archetipo che non conosciamo, era utilizzato anche dalla cultura romana. La statua è copia di un modello molto famoso in tutto il Mediterraneo e di vari esemplari utilizzati a scopi diversi. Al Museo del Bardo a Tunisi esiste una statua in bronzo, trovata in un relitto, strettamente simile all’Atleta di Fano: quel modello è stato utilizzato come un eros, gli sono stata applicate le ali e le proporzioni sono state modificate affinché fosse un bambino e non un giovanissimo come la nostra scultura. Quel mondo era molto più fluido rispetto a quanto intendiamo oggi.
Perché ritiene infondata l’argomentazione della provenienza dalla Grecia?
Innanzitutto, il Getty in appello ha proposto un tema culturale, non un’argomentazione giuridica, però inconsistente. La Grecia infatti non ha richiesto la scultura. Come altri territori, quello greco è stato razziato dai Romani, non possiamo applicare la legislazione odierna a quel tempo. E nessuno può escludere che si trovasse in area medio-adriatica: nel territorio marchigiano c’erano santuari come quello famosissimo di Cupra Marittima.
Pochi bronzi greci sono giunti a noi.
Quando li troviamo gridiamo all’originalità, mentre in epoca ellenistica venivano realizzate tantissime copie per usi diversi. Che l’Atleta abbia dimensioni poco inferiori al vero mi fa pensare che fosse stato creato per un contesto privato, non pubblico. Un personaggio facoltoso, anche romano, potrebbe aver acquistato la statua per la sua domus o averla commissionata a un’officina in Italia con artigiani greci: abbiamo molti esempi. Sono ipotesi, non lo sto affermando, dico che non abbiamo elementi per escluderlo.
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