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La statua in bronzo dell’Ercole Mastai durante il restauro.

© Musei Vaticani

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La statua in bronzo dell’Ercole Mastai durante il restauro.

© Musei Vaticani

L’Ercole Mastai, la più grande scultura in bronzo del mondo

Si è concluso il restauro dell’imponente statua, esposta dal 1866 nella Sala Rotonda del Museo Pio Clementino. Una giornata di studi ne ha ripercorso storia, interventi e ricerche

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Arianna Antoniutti

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Nell’agosto del 1864 a Roma, durante lavori di consolidamento delle fondamenta di Palazzo Pio in piazza del Biscione, emerse una colossale statua in bronzo. Alta quasi quattro metri, essa giaceva orizzontalmente, all’interno di una fossa, ricoperta da lastre di travertino. Gli scatti che immortalano il ritrovamento, con gli operai attorno alla grande scultura ancora parzialmente interrata, costituiscono preziose testimonianze non solo dell’archeologia ottocentesca a Roma, ma anche della storia della fotografia. Identificata grazie agli attributi della clava e della pelle di leone come un Ercole, la scultura venne ceduta, per 50mila scudi, dal proprietario di Palazzo Pio, Pietro Righetti, ai Musei Vaticani. Qui, a partire dal 1866 l’Ercole Mastai, dal cognome di papa Pio IX, è collocato in una posizione di assoluto rilievo: la nicchia centrale della Sala Rotonda del Museo Pio Clementino, in asse con l’ingresso della settecentesca scalinata di Simonetti.

Non solo le sue dimensioni, che la rendono la più grande scultura bronzea, e la più integra, a noi giunta, ma anche la sua doratura, ne fanno un’opera di importanza capitale. Il suo interramento, avvenuto in antico, ne ha preservato la patina dorata, quasi perfettamente intatta. Piccole cadute di materiali, prevalentemente il gesso utilizzato in interventi di restauro ottocenteschi, hanno richiamato l’attenzione dei restauratori dei Musei Vaticani che, grazie al sostegno del Capitolo Northwest dei Patrons of the Arts in the Vatican Museums, hanno potuto realizzare un complesso lavoro di studi, ricerche scientifiche e restauro dell’Ercole. I risultati della lunga campagna conservativa (le prime indagini da parte del Gabinetto di ricerche scientifiche dei Musei del papa erano state avviate nel 2020), sono stati presentati nel corso di una giornata di studi, svoltasi ai Musei Vaticani, il 3 dicembre scorso.

La statua in bronzo dell’Ercole Mastai durante il restauro. © Musei Vaticani

Introdotti dalla direttrice, Barbara Jatta, studiosi come Giandomenico Spinola, vicedirettore artistico-scientifico dei Musei Vaticani, Claudia Valeri, direttrice del Reparto antichità greche e romane dei Musei, Claudio Parisi Presicce, sovrintendente capitolino ai Beni culturali, assieme a restauratori del Laboratorio di restauro metalli e ceramiche dei Musei Vaticani, dell’Icr di Roma e dell’Opificio delle Pietre Dure, hanno illustrato storia e problematiche conservative della scultura. In particolare Clara Di Fazio, del Reparto antichità greche e romane dei Musei del papa, ha trattato il tema della sepoltura rituale ricevuta dall’Ercole. Su una delle lastre di travertino poste a copertura della fossa che la accoglieva, erano incise le lettere «FCS: Fulgur Conditum Summanium». L’Ercole, che svettava presumibilmente sul Tempio di Venere, posto in Summa Cavea nel Teatro di Pompeo (60 a.C.), il più grande teatro di Roma, il primo in muratura, era stato colpito da un fulmine e, considerato sacro, fu interrato secondo il rituale del fulgur conditum: il seppellimento del fulmine. 

La fase di studio, che ha preceduto il restauro, è durata circa un anno ed è stata condotta dal Laboratorio di diagnostica per la conservazione e il restauro dei Musei Vaticani, diretto da Ulderico Santamaria

L’intervento conservativo vero e proprio, effettuato nella stessa Sala Rotonda che ospita l’Ercole, e completato a fine 2024, è stato eseguito da Alice Baltera e Chiara Omodei Zorini del Laboratorio di restauro metalli e ceramiche, diretto da Flavia Callori di Vignale

Il restauro ha consentito non solo la pulitura dell’opera, la revisione delle stuccature e l’intervento sulle integrazioni in gesso (la pelle del leone, la clava, le caviglie, eseguite nel 1864 sotto la direzione dell’allora direttore dei Musei Vaticani, Pietro Tenerani), ma anche nuove ipotesi sulla datazione della scultura, che abitualmente oscilla fra I e III secolo d.C. Una forbice tanto ampia è dovuta anche all’unicità della statua, che la rende priva di paragoni. Secondo Claudia Valeri è da respingere la datazione all’età di Pompeo e, per ragioni stilistiche e di qualità dell’esecuzione, la scultura andrebbe invece datata all’epoca di Domiziano (81-96 d.C.), durante il cui regno il Teatro di Pompeo fu oggetto di estesi rifacimenti.

Arianna Antoniutti, 19 gennaio 2025 | © Riproduzione riservata

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