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Gareth Harris
Leggi i suoi articoliLa società svizzera Art Recognition afferma di aver utilizzato l’intelligenza artificiale (IA) per autenticare una versione di una delle opere più famose di Pieter Paul Rubens, «Il bagno di Diana» (1635 ca), che per lungo tempo è stata ritenuta una copia.
Carina Popovici, presidente esecutivo della società zurighese, ha presentato la sua indagine sul dipinto alla Art Business Conference del Tefaf di Maastricht. L’opera, che appartiene a una collezione privata francese, è una versione del celebre dipinto dell’artista, mentre dell’originale non si conosce l’ubicazione.
Come funziona l’IA nel settore delle autentiche?
Art Recognition, fondata sei anni fa, dispone di un sistema di intelligenza artificiale che, come dice la stessa società sul suo sito web, «offre una valutazione precisa e oggettiva dell’autenticità di un’opera d’arte». L’azienda afferma di aver completato più di 500 valutazioni di autenticità, vagliando opere contestate come un autoritratto del 1889 di Vincent van Gogh al Museo Nazionale di Oslo.
Dopo l’ultima indagine, Popovici e Art Recognition hanno concluso che il dipinto in questione, pur non essendo l’originale de «Il bagno di Diana», è una versione autentica dell’opera. «Abbiamo concluso che è parzialmente opera di Rubens. La nostra IA non può sapere chi ha fatto il resto, ma una verosimile interpretazione potrebbe essere quella del contributo della bottega dell’artista», spiega Popovici.
Durante la presentazione al Tefaf, Popovici ha spiegato che, per analizzare l’opera in questione, l’azienda ha utilizzato il suo sistema di IA, addestrato su dati presi da opere di Rubens accettate come autografe, conducendo un’analisi differenziale su diverse sezioni del dipinto.
«Oltre alle opere autografe accettate, abbiamo inserito nell’IA anche immagini di copie, imitazioni, opere di seguaci ecc. Da tutte queste immagini di addestramento, l’IA ha imparato lo stile unico di Rubens, ma anche a distinguere le opere autentiche dalle buone imitazioni», dichiara Popovici.
«In totale ci sono 29 sezioni: dieci sono state identificate come chiaramente autentiche, con probabilità superiori all’80%; otto sono state classificate come autentiche, con probabilità tra il 60% e l’80%». Ma sette sezioni sono rientrate in una specie di «limbo», con una probabilità tra il 50% e il 60%, il che significa che l’IA non è riuscita a determinare se fossero di Rubens o meno. Quattro sezioni sono risultate con probabilità inferiori al 50%, quindi chiaramente non autentiche.
In disaccordo con gli studiosi di Rubens
Nils Büttner, presidente del Centrum Rubenianum (la principale autorità in materia di autenticazione di Rubens, l’ente che ha realizzato il catalogo ragionato del maestro fiammingo), interpellato dalla nostra testata sorella «The Art Newspaper», afferma di ritenere che l’opera indagata da Art Recognition non sia in realtà un originale di Rubens.
Lo studioso spiega: «Un condition report chiarisce che non si tratta dell’originale. Credo nell’intelligenza artificiale e il software di Art Recognition è buono, ma i risultati non sono in linea con quanto dicono gli studiosi di Rubens».
Popovici, tuttavia, ha dichiarato a «The Art Newspaper»: «È interessante vedere che cosa hanno da dire gli esperti su questo caso... Tra le molte versioni di questo dipinto, solo due sono state proposte come potenzialmente autentiche. Oltre alla versione della collezione privata francese, oggetto di questa indagine, ce n’è un’altra conservata al Museo Boijmans van Beuningen di Rotterdam».
La questione dell’autenticità
Il dipinto del Boijmans non è un’opera completa ma un frammento, il cui resto si ritiene sia andato distrutto in un incendio. Secondo Popovici, il Rubenianum ha elencato questo frammento come autentico negli anni ’90, ma poi ha messo in dubbio l’attribuzione in una pubblicazione del 2016. Nella «Parte XI, Soggetti mitologici, Achille alle Grazie, volume 1», si legge che «pare ovvio che il dipinto non abbia le caratteristiche essenziali di un’opera autografa di Rubens».
Sebbene il sito web del Museo Boijmans descriva il suo «Bagno di Diana» come opera di Rubens, Büttner sottolinea anche che l’opera potrebbe non essere stata realizzata dal pittore stesso. «Non si tratta di un frammento della versione primaria. Potrebbero esserci collegamenti con l’artista, poiché Rubens utilizzava tele già preparate e vendeva prodotti di questo genere nella sua bottega», spiega.
La Popovic, che dice che ha voluto creare uno strumento di Intelligenza artificiale che può aiutare gli storici dell’arte, i collezionisti e i musei a prendere decisioni sulla base di informazioni, è attenta a sottolineare che i sistemi di intelligenza artificiale come il suo non potranno mai sostituire l’occhio umano esperto, ma possono essere un prezioso strumento analitico aggiuntivo. Dichiara a «The Art Newspaper»: «È qui che ci troviamo oggi, con un approccio al frammento apparentemente mutevole. La domanda è: se il Rubenianum dovesse riconsiderare la sua posizione sul frammento, cambierebbe la sua posizione sulla versione della collezione privata francese?».
Il Museo Boijmans van Beuningen è stato contattato per un commento.
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