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Una veduta della Sala della «Chimera d’Arezzo», grande bronzo etrusco conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze

Photo: Mario Ciampi

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Una veduta della Sala della «Chimera d’Arezzo», grande bronzo etrusco conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze

Photo: Mario Ciampi

La «Chimera d’Arezzo», vera star dell’Archeologico di Firenze

Nuova veste espositiva per il celebre bronzo etrusco, assurto a simbolo dell’Unità d’Italia, grazie al contributo dei coniugi statunitensi Winchester, prima tappa del riallestimento delle sale etrusche

Laura Lombardi

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Come primo passo di un percorso che porterà il Museo Archeologico Nazionale di Firenze a un grande riallestimento, affidato allo Studio Guicciardini & Magni Architetti, è stata inaugurata la sala dedicata alla «Chimera di Arezzo», il bronzo etrusco datato al V secolo a.C. 

Scoperto fuori porta Lorentino ad Arezzo nel 1553, conservato dai Medici a Palazzo Vecchio, il bronzo passa alla Galleria degli Uffizi nel 1718, e giunge infine nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze (dal 1871, nell’ex educandato del Fuligno in via Faenza, poi, pochi anni dopo, nell’attuale sede del Palazzo della Crocetta), dove diviene il pezzo più celebre delle collezioni, prestito richiesto, ma spesso negato, in tutto il mondo. 

Il progetto di valorizzazione di una superficie di circa diecimila metri quadrati era stato concepito e messo a punto quando il Museo, diretto da Marco Iozzo, ancora dipendeva dalla Direzione regionale dei Musei della Toscana (diretta da Stefano Casciu), ma sarà ora realizzato nella nuova veste di autonomia che caratterizza l’istituzione fiorentina, alla cui direzione è stato nominato Daniele Federico Maras. La tappa attuale non sarebbe stata possibile senza il generoso contributo di Laura e Jack Winchester, una coppia molto schiva di donatori statunitensi, da tempo grandi amici del Museo, come ricorda Stefano Casciu. 

Massimo Osanna, direttore Generale dei Musei, sottolinea dal canto suo l’importanza della nuova realtà museale che si sta configurando grazie all’autonomia, «tuttora in una fase di transizione, ma già molto dinamica e impegnata nelle attività di ricerca, di tutela e valorizzazione» e che dovrebbe restituire al Museo, completamente rinnovato, il ruolo di rilievo che merita, declinando la cultura museale in senso sempre più inclusivo. L’«elegante progetto dello studio Guicciardini & Magni, nota Osanna, valorizza la Chimera da molti punti di vista; la rende accessibile non solo grazie all’abolizione delle barriere architettoniche, ma anche da un punto di vista sensoriale e cognitivo: perché i musei devono parlare a tutti i pubblici e a tutte le età, a chi ha cultura classica, a chi non ne ha o a chi proviene da altre culture».  

L’importanza della «Chimera», palestra per molti artisti del Cinquecento, è notevole, fin dal suo ritrovamento nel 1553, quando confluisce nelle collezioni medicee e assume un preciso significato nell’ambito della politica culturale espansionistica di Cosimo I, stabilendo una continuità tra la cultura etrusca e la Toscana, portatrice di un’identità autonoma rispetto a Roma, e alimentando il mito di Firenze come capitale dell’Etruria rinata (Cosimo I volle infatti fregiarsi del titolo latino di «Magnus Dux Etruriae»). Nel corpo ibrido della «Chimera», i Medici riconoscono la forza domata dalla ragione, l’essenza del loro progetto politico, capace di trasformare la molteplicità e la ribellione in armonia di governo. E quel bronzo continua a caricarsi di significati quando diventa il nucleo del primo Museo Archeologico dell’Italia unita (precedente a quello a Roma, che si costituirà solo dopo il trasferimento della capitale nel 1870, da Firenze alla città eterna). «La «Chimera», ricorda Maras, diviene il simbolo dell’unità culturale italiana di cui la cultura etrusca è sentita come l’antesignana. Anche per questo Marco Magni col suo assistente Fabrizio Marinelli, ha creato una sorta di teatro, di arena». Il sistema di sedute circolari che cingono la scena richiama infatti le gradonate di un’arena classica: «Siamo in uno spazio di contemplazione, immersivo ma senza tecnologie che ci distraggano. Il visitatore entra nella sala buia e si trova innanzi alla Chimera ruggente, posta sul basamento realizzato da Goppion, quasi calandosi nei panni dell’eroe Bellerofonte e questo effetto quasi cinematografico è raggiunto anche grazie all’illuminazione concepita dallo studio Iarussi di Firenze». L’illuminazione, infatti, oltre ad accentuare con sofisticati giochi chiaroscurali l’impressione suscitata dalla creatura mitologica, permette di ben cogliere particolari stilistici, dove elementi classici si mescolano con altri arcaici, come la criniera, ma anche di leggere l’iscrizione sulla zampa anteriore destra. 

Colpito dalla «Chimera» fin da bambino, in occasione di una visita coi genitori al Museo, Marco Magni, confessa di aver sempre coltivato il sogno di potersi occupare di quel bronzo, fin da quando era un giovane architetto. «Con Fabrizio Marinelli e con lo studio Iarussi abbiamo voluto interpretare l’opera non solo come in quanto dato oggettivo, ma per l’aura che emana, tenendo conto della tradizione del mito della Chimera e proponendo a chi entra nella sala un’esperienza sì individuale, ma al tempo stesso partecipe della trasmissione di valori collettivi. E da questo punto di vista è stata importante anche la nuova identità grafica del Museo curata dallo studio Rovai-Weber». 

Pur nella sua veste di star sotto i riflettori, col grande tendaggio rosso sullo sfondo, la «Chimera» è riportata al suo contesto culturale di origine, grazie all’esposizione, in una vetrina sospesa, di tre piccoli bronzi etruschi raffiguranti un grifone, il dio etrusco Tinia (Giove) e un giovane offerente. Bronzetti che, spiega Barbara Arbeid, curatrice del museo insieme a Claudia Noferi, «Cosimo I de’ Medici stesso si era dilettato a rinettare. Non è stato facile seguire le vicende di queste opere nelle collezioni granducali, ma guida importante sono le dimensioni, 30 cm, misura che veniva riservata ai doni di un certo valore. Con l’esposizione dei tre bronzetti abbiamo voluto esprimere che la Chimera, proveniente da un santuario etrusco, ha avuto una vita precedente la sua scoperta». 

Le prossime tappe riguardano ora il rifacimento delle vicine sale etrusche con capolavori quali l’«Arringatore» e la «Testa Lorenzini», ma il Museo continuerà ad accogliere i visitatori durante tutto il tempo del rinnovamento. 

Fronte della «Chimera d’Arezzo», grande bronzo etrusco conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Photo: Mario Ciampi

Retro della «Chimera d’Arezzo», grande bronzo etrusco conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Photo: Mario Ciampi

Laura Lombardi, 20 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

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