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Arianna Antoniutti
Leggi i suoi articoliIl corpo del Cristo, dalla fredda politezza alabastrina, è il fulcro drammatico e compositivo del «Compianto sul Cristo morto» di Giovanni Bellini. Un accorto restauro ha saputo restituire alla tavola, conservata presso la Pinacoteca dei Musei Vaticani, le originali e raffinate sfumature tonali, spente dalle vernici protettive, visibilmente ingiallite, che le ricoprivano.
Ora il dipinto, restituito alla sua piena leggibilità, sarà in mostra, da sabato 5 aprile fino a giugno, presso il Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, accanto a una seconda opera che ha anch’essa per tema la Passione di Gesù: il «Cristo morto sorretto da angeli» di Giovanni Antonio Bazzi, detto il Sodoma. L’esposizione è promossa dai Musei Vaticani ed è curata da Fabrizio Biferali, responsabile del Reparto per l’arte dei secoli XV-XVI. «Entrambe le opere, dice il curatore, si prestano a una lettura stratificata: da un lato l’approccio narrativo e compassionevole di Bellini, dall’altro la tensione dinamica e la forza vibrante della tavola del Sodoma».
Il Compianto di Bellini (1475), cimasa della Pala Pesaro, fu confiscato dalle truppe francesi nel 1797 per essere esposto al Muséum Central des Arts nel Palazzo del Louvre. Restituito all’Italia nel 1816, trovò infine collocazione nella Pinacoteca Vaticana. Il restauro è stato effettuato da Marco Pratelli nel Laboratorio di restauro dipinti e materiali lignei dei Musei Vaticani, sotto la direzione del capo restauratore Francesca Persegati.
La storia travagliata della tavola ha certamente influito sul suo stato conservativo: «Durante le prime fasi della sverniciatura, spiega Pratelli, è emersa una superficie pittorica sofferente, fortemente abrasa a causa di aggressive puliture subite nell’Ottocento, non sappiamo se durante il suo periodo francese o al suo rientro in Italia. L’intensità cromatica delle stesure pittoriche originali è stata compromessa per l’asportazione di buona parte delle velature di colore, con cui l’artista, oltre a costruire la corposità delle vesti preziose, aveva voluto far emergere le differenze tonali degli incarnati». Una volta rimosse le vernici protettive ingiallite, stese durante l’ultimo restauro eseguito nel 1988, è stato possibile tornare ad ammirare, nel dialogo muto delle mani del Cristo e della Maddalena, il contrasto fra il freddo pallore del Cristo Morto e le sfumature rosee dell’incarnato della donna.
L’intervento di restauro è stato preceduto da una campagna di indagini, eseguite dal Gabinetto di ricerche scientifiche dei Musei del papa, che hanno permesso di individuare la natura dei pigmenti impiegati. Inoltre, grazie alla riflettografia è stato possibile leggere, al di sotto della superficie pittorica, il magnifico disegno preparatorio con tracce dello spolvero.
La seconda opera in mostra a Castel Gandolfo, il «Cristo morto» del Sodoma (1505 ca), è per la prima volta esposta al pubblico perché abitualmente conservata presso la Venerabile Arciconfraternita di Santa Maria dell’Orto di Roma. «Si tratta di un confronto iconografico e spirituale che va oltre il tempo e lo stile, commenta la direttrice dei Musei Vaticani Barbara Jatta, offrire ai visitatori l’occasione di ammirare due opere così dense di significati teologici e storici nella cornice di Castel Gandolfo è un’opportunità unica per valorizzare l’identità stessa delle collezioni vaticane: fedeltà alla tradizione, apertura alla ricerca».

Il «Compianto sul Cristo morto» (1475) di Giovanni Bellini dopo il restauro
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