Alessandra Mammì
Leggi i suoi articoliQualcosa è cambiato. Tanto per cominciare la Q in grassetto tutta colorata che segnala come quella Quadriennale di Roma, istituzione ponderosa e letargica, nata nel lontano 1931 e nel tempo divenuta troppo lenta per la frenesia dell’arte contemporanea, sia improvvisamente ringiovanita. Poi quel proliferare di quaderni, workshop, studio-visit in diretta on line, archivi e biblioteca digitale, diluvi di comunicati stampa e appuntamenti fino al festival-maratona di talk, performance, proiezioni, laboratori, danze e dj che nel giugno scorso ha suggellato l’ultimo atto dell’attuale Consiglio di Amministrazione in scadenza l’11 agosto.
Eppure non si può dire che questa Q abbia navigato in acque facili. È stata funestata dalle aperture e chiusure dettate dal Covid, che hanno penalizzato l’edizione 2020 battezzata dai curatori (Sara Cosulich e Stefano Collicelli Cagol) «Fuori», proprio mentre ci chiudevano tutti dentro. Ma il titolo scaramantico funzionò perché quell’esposizione anziché i tre mesi previsti durò un anno, fu divulgata in rete grazie ad avanzati progetti digitali che l’hanno resa visitabile ancora oggi, e infine perché, come unica rassegna internazionale aperta in piena pandemia, catturò una grande attenzione mediatica che fu il segnale di ripartenza della Quadriennale.
Lascito raccolto dal nuovo direttore artistico Gian Maria Tosatti, che ha moltiplicato iniziative e presenze in una ebollizione continua e a cui paradossalmente hanno giovato anche le polemiche seguite alla sua nomina. Ora che questa stagione si sta concludendo, abbiamo ragionato con il presidente uscente Umberto Croppi su che cosa resterà di tanto fermento.
Dalla formula «una mostra ogni quattro anni e nel mezzo nulla» la Quadriennale è passata a promuovere quasi un’iniziativa al giorno, a diventare una calamita per curatori e artisti e a suscitare discussioni e polemiche. Come siete riusciti in tanto miracolo?
Onore al merito: ad aver avviato un processo di rinnovamento è stata la presidenza di Franco Bernabè sostenuta dal ministro Franceschini, che nel 2016 fecero immediatamente ripartire l’istituzione con una mostra firmata da dieci curatori. Io ero appena entrato nel Cda e francamente non ero molto convinto di questa formula.
Perché non era d’accordo?
Perché il risultato, come si è visto, sarebbe stato la somma di dieci mostrine invece di un progetto coerente. Comunque va riconosciuto a Bernabè anche il merito di aver istituito la figura del Direttore Artistico con il compito di attivare un programma culturale continuativo. Fu nominata Sarah Cosulich che però al ruolo di direttore artistico sommava anche quello di curatore della prossima mostra. Anche qui non ero d’accordo.
Quali obiezioni stavolta?
Era la prima volta che la Quadriennale proponeva una mostra «curatoriale», una mostra non strettamente contemporanea con molti nomi storici e molto carente nel rappresentare il Centro Sud. Era come se la Quadriennale certificasse il fatto che da Bologna in giù non avevamo nomi interessanti.
A quel punto lei però era già il presidente, perché non è intervenuto?
Ne ho parlato con Cosulich, abbiamo anche discusso ma resta il fatto che ero stato nominato a mostra già avviata e per il rispetto delle funzioni e dei ruoli ho ritenuto non fosse corretto intervenire. Riconosco a Sarah invece il merito di aver promosso workshop internazionali a cui si sono candidati ben 500 artisti italiani under 35 permettendoci di raccogliere un primo importante censimento sulla più giovane produzione.
Tutta sua invece fu la nomina di Gian Maria Tosatti a direttore artistico che incontrò perplessità. Era opportuno scegliere proprio l’artista che contemporaneamente rappresentava l’Italia nel padiglione nazionale della Biennale?
Indiscutibilmente il suo progetto era quello più interessante e prolifico, un programma fitto di iniziative persino quotidiane. Tanto che i suoi oppositori interni dicevano che non sarebbe mai riuscito a realizzarlo. Invece ha completato quasi tutti gli obiettivi nonostante Tosatti abbia ancora un anno circa di lavoro davanti a sé. E poi nei miei pensieri c’era il desiderio di restituire la Quadriennale agli artisti, non dimentichiamo che fu fondata da un pittore, Cipriano Efisio Oppo. Dunque che cosa poteva esserci di meglio di una artista movimentista come Tosatti che è anche scrittore, animatore, curatore? I risultati ci hanno dato ragione, il bilancio ha avuto un incremento del 140% rispetto all’anno precedente e un avanzo di 1 milione e 300mila euro. Abbiamo implementato un archivio che è valutato intorno ai 35 milioni e la cosa più importante è aver acquisito tra i partner la Camera di Commercio di Roma. È solo un inizio per portare altri soggetti privati a rafforzare il contributo pubblico. Solo così si crea quel circolo virtuoso dove gli uni s’impegnano con gli altri, si rafforza la responsabilità dei soggetti pubblici e si assicura un futuro alle istituzioni.
Teme per il futuro della Quadriennale?
Assolutamente no, ma individuo alcune fragilità. Prima di tutto la mancanza di una sede, che pure era prevista nell’atto costitutivo della Fondazione. Una sede dove far vivere l’archivio, creare eventi, costruire un vero organico. L’avevamo individuata nell’Arsenale Pontificio di Porta Portese. Il progetto è stato finanziato, lo studio Insula ha vinto il bando, i lavori iniziati, poi tutto fermo per problemi burocratici. Da quattro anni si attende una delibera del Comune per sbloccare la situazione. Se questa presidenza è riuscita a dare un volto nuovo alla Quadriennale, il primo compito del nuovo Cda sarà quello di darle una casa.
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