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René Magritte, «La Statue volante»

Sotheby’s

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René Magritte, «La Statue volante»

Sotheby’s

«La Statue volante». Agli albori del Surrealismo di Magritte

Con una stima tra 9 e 12 milioni di sterline, il dipinto guiderà l’asta serale di Sotheby’s del prossimo 17 settembre, dedicata alla Collezione Karpidas

Ludovica Zecchini

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C’è un’opera di René Magritte pronta a prendersi la scena londinese. Un’immagine sospesa, carica di tensione e mistero, dove la classicità si deforma e il reale vacilla: è con «La Statue volante» (1958). Con una stima tra 9 e 12 milioni di sterline, il dipinto rappresenta uno dei vertici della maturità dell’artista, e guiderà l’asta serale di Sotheby’s del prossimo 17 settembre, dedicata alla Collezione Karpidas. A precedere di poche settimane l’apertura di Frieze London e delle principali fiere internazionali d’autunno, la vendita si colloca strategicamente nel calendario del mercato globale. In un momento di crescente attenzione per le collezioni private e per il Surrealismo da parte dei buyer internazionali – in particolare americani e asiatici – la dispersione della raccolta Karpidas conferma Londra come nodo centrale per l’arte del XX secolo. E l'opera di Magritte ne diviene un simbolo.

«L’arte della pittura rende possibile la creazione di immagini poetiche visibili», scriveva Magritte. In «La Statue volante», questa idea si traduce in un’immagine potente. La celebre «Venere di Milo», frammentata e idealizzata, si staglia accanto a un elemento architettonico decorativo, perforato da tubi metallici che alludono, in modo ambiguo, a una presenza antropomorfa. Il tutto si colloca su un balcone a picco su un mare in tempesta, illuminato da una luce impossibile. Una scena sospesa, che sfida le leggi della logica e della fisica.

«La Statue volante» si inserisce in una genealogia visiva che Magritte stesso riconobbe come fondante per la sua conversione al Surrealismo. A colpirlo, nei primi anni Venti, fu l’incontro con Giorgio de Chirico e in particolare con l’opera «La canzone d’amore» (1914): un guanto di gomma accostato a una testa classica su uno sfondo urbano deserto. L’impatto fu tale da spingerlo a «mettere in discussione tutto ciò che fino ad allora lo aveva interessato», come ha sottolineato Xavier Canonne. Anche in «La Statue volante», come in de Chirico, l’oggetto classico viene strappato dal suo contesto originario e immerso in una situazione visiva disturbante, quasi onirica. La collisione tra elementi di epoche e nature differenti – la Venere antica, l’acciaio industriale, il mare impetuoso – genera quella che Magritte definiva una «poesia perturbante».

Il soggetto della «statua volante» accompagna Magritte per oltre trent’anni. La prima versione risale al 1927, agli albori del suo avvicinamento al Surrealismo: un’opera oggi perduta ma documentata da una riproduzione sulla rivista «Sélection»; una seconda versione, datata 1932-33, introduce già la figura della «Venere di Milo» e moltiplica gli elementi industriali, suggerendo un’atmosfera di freddezza meccanica. La versione del 1958, oggi all’asta, rappresenta la sintesi finale: un'opera più monumentale, semplificata nella composizione ma potenziata nella tensione visiva. Come ha osservato Sarah Whitfield, in queste opere «Magritte raggiunge una maggiore chiarezza formale e un senso di grandiosità». L’inquadratura ravvicinata e il formato ampio contribuiscono a conferire una presenza imponente agli elementi rappresentati.

La scena è dominata da un mare burrascoso, citazione colta e intenzionale dell’opera del pittore armeno Vartan Makhokhian, che Magritte conosceva e collezionava sotto forma di cartoline. Mentre l’artista armeno dipingeva placide vedute marine, Magritte ne ribalta il senso, trasformando le acque in un simbolo inquieto, instabile, carico di tensione. Nelle sue tele, il mare è spesso una soglia tra il visibile e l’invisibile, tra la certezza della forma e l’abisso del pensiero. La luce che colpisce la scena, in modo illogico e quasi teatrale, aggiunge un ulteriore strato di mistero. Illumina selettivamente il torso della Venere e la stele decorativa, proiettando ombre che non trovano corrispondenza con il cielo cupo e il mare in tempesta. Un cortocircuito visivo che contribuisce all’effetto straniante dell’opera.

La provenienza del dipinto ne accresce il valore storico e collezionistico. Fu acquistato direttamente dall’artista dal celebre gallerista Alexander Iolas, promotore di Magritte negli Stati Uniti. Passò in seguito nella collezione del ballerino e collezionista Brooks Jackson, per poi rientrare nuovamente nella raccolta di Iolas e, infine, nel 1985, entrare nella collezione di Pauline Karpidas, una delle figure più influenti del collezionismo europeo contemporaneo. «La Statue volante» fu esposta in due momenti cruciali per la diffusione dell’opera di Magritte negli USA: nel 1959 presso la Alexander Iolas Gallery di New York e l’anno seguente nella prima retrospettiva museale americana dell’artista, ospitata dal Dallas Museum of Art e dal Museum of Fine Arts di Houston.

Enigmatica, simbolica, profondamente poetica, «La Statue volante» è molto più di un semplice ritorno sul mercato: è un’opera cardine per comprendere la trasformazione del linguaggio visivo di Magritte nel dopoguerra. Una pittura che, come osservava il surrealista Marcel Lecomte, sembra «guardarci, interrogarci, restituirci a noi stessi, nel mistero del suo silenzio carico di significato».

Ludovica Zecchini, 16 settembre 2025 | © Riproduzione riservata

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