Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Image

La Torre dei Conti affiancata dal Palazzo Nicolini in una foto d’epoca

Image

La Torre dei Conti affiancata dal Palazzo Nicolini in una foto d’epoca

La Torre dei Conti non può essere demolita

La legge impone il restauro immediato del monumento (tutelato tre volte), danneggiato dai terremoti e scampato alle demolizioni nel corso dei secoli. Ma non dimentichiamoci dei caduti sul lavoro

Quando le disgrazie si verificano, il più delle volte sono il frutto di una lunga serie di concause. Nel duplice crollo del 3 novembre di una parte della Torre dei Conti di Anagni e poi di Segni, detta per brevità dei Conti, ce ne possono essere molte di concause, remote o recenti, più o meno note, nei dodici secoli di storia dell’edificio (che arrivano a venti con le fondazioni di età imperiale).

Prima di elencarne alcune, vale la pena ricordare l’opera di Octay Stroici, caduto sul lavoro, riservando almeno alla sua memoria le attenzioni che lui, prima di essere sepolto vivo e poi estratto dalle macerie, non ha certamente ricevuto in misura adeguata. Si può per questo rivolgere un invito agli istituti di credito, alle imprese e alle autorità al fine di promuovere una sottoscrizione per raccogliere un patrimonio che con i propri utili garantisca in permanenza, o per un congruo numero di anni, una continuità di aiuti alle famiglie dei caduti sul lavoro in Italia, stranieri inclusi. Non è invece questo il momento, né tantomeno la sede, per chiedersi perché manchi nel diritto italiano la fattispecie, presente nella giurisprudenza inglese, che di fronte alle sciagure contempla anche il caso della fatalità (act of God) senza per questo escludere, ma senza imporre, una caccia, anche mediatica e quasi vendicativa, al responsabile o ai responsabili, ritenuti tali. Così come non è qui il caso di cercare di capire perché manchi da noi il costume orientale delle dimissioni, più proporzionate al fallimento non voluto, rispetto agli eccessi della presunzione di colpa da un lato e della pretesa di immunità del tutto impunita dall’altro.

Prima di elencare in forma approssimativa le concause, è necessario però ricordare alcuni approfondimenti sull’argomento: oltre alla Cronica di Riccobaldo Ferrarese (1246-1320 circa), vi sono studi e scritti ben noti tra i quali: Roma turrita (1933-43) e Le torri di Roma (1969) di Emma Amadei, o prima ancora Di Tor de’ Conti e dei diritti del pubblico sopra monumenti che si rinvengono in private proprietà (1885) di Francesco Mora, Tor de’ Conti (1934) di Carlo Cecchelli. Senza escludere gli studi più recenti: ad esempio Roma, profilo di una città 312-1308 (1983) e Roma di Alessandro VII 1655-1667 (1987) di Richard Krautheimer; oppure Roma nel Duecento. L’arte nella città dei papi da Innocenzo III a Bonifacio VIII, opera coordinata da Angiola Maria Romanini e altri saggi (1991) di Pio Francesco Pistilli, a cui va aggiunto il numero monografico 108 (2012), a cura di autori vari, della rivista «Ricerche di storia dell’arte» (serie «Conservazione e restauro»).

Prima di tutto si possono riepilogare i precedenti danni subìti dal monumento, coi parziali conseguenti cedimenti: i terremoti maggiori, nel 1348 con il crollo che dimezza in altezza la torre, ridotta da allora al solo suo basamento, poi nel 1630, nel 1644 con un ulteriore crollo, il 26 ottobre, sulle case vicine. Due morti. Senza escludere i danni meno percepiti, ma non per questo assenti, dei sismi successivi, dal terremoto del 1703 a quelli de L’Aquila nel 2009 e di Amatrice nel 2016, che sono arrivati a scuotere anche Roma successivamente al momento in cui, nel 2006, la Torre dei Conti viene sgomberata e dichiarata inagibile. Sospendendone le manutenzioni.

Altrettanto evidente è che si tratta di un edificio eterogeneo e frequentemente rimaneggiato: la prima torre, costruita intorno all’anno 858 da Pietro dei Conti di Anagni, ingloba un manufatto di età imperiale, un’ala laterale del tempio, un’esedra, la prima delle nove aule (quattro ai lati e cinque sul fondo) procedendo all’interno del portico in senso orario (potremmo impropriamente dire la prima cappella, il primo altare laterale sulla sinistra, entrando dai sette ingressi dei propilei rivolti a nord-ovest), riferibile al Foro della Pace, di Vespasiano (edificato nel 71-75 d.C.). Nella sesta aula, subito a destra dell’aula centrale di culto, era stata affissa in età severiana la «Forma Urbis Romae», dopo l’incendio del 196 d.C. Durante il pontificato di Felice IV (526-530) nell’aula settima era stata ricavata la Basilica dei santi Cosma e Damiano.

Come si sa dopo il Foro repubblicano di Cesare (46 a.C.), che stabilisce con il suo orientamento una divergenza dal nord pari alla latitudine di Roma (l’angolo rispetto al cardo meridiano è pari a quello dell’altezza del polo celeste sull’orizzonte, orientamento repubblicano seguito dai quattro impianti successivi) quello di Vespasiano è il secondo dei Fori imperiali dopo quello di Augusto (2 a.C.) e prima di quelli di Nerva (Transitorio, 97 d.C.) e di Traiano (112-113 d.C.). Le strutture della prima esedra, antiche di quasi due millenni, finiscono conglobate nella base della torre medievale, insieme ad altra edilizia minore di epoca tardoantica, come la casa «forte dentro e salda fuori» di Pietro di Nicola, soldato. Segue a distanza di due secoli e mezzo, forse nel 1203, l’innalzamento e quasi il rifacimento voluto da Riccardo dei Conti di Segni, fratello di Innocenzo III, secondo Vasari con l’ausilio dell’architetto Marchione Aretino (Vasari ricorda anche le più tarde decorazioni interne, attribuite a Benozzo Gozzoli). In quella data (1203) la torre rastremata a gradi, costituita da tre blocchi parallelepipedi sovrapposti con un raccordo «a cannocchiale» (cc. 40v e 57v del Codex Escurialensis; Escorial, Bibl., 28 II 12), risulta assalita dalle fazioni avversarie al papa, guidate da Giovanni Capocci

L’edificio, che costituisce un riparo fortificato di mezza via tra le residenze papali lungo l’itinerario tra il Vaticano e il Laterano, ma anche tra il Campidoglio e il Quirinale, si innalza allora per oltre 60 metri. Già pochi anni dopo, nel 1237, Giovanni dei Conti di Segni, asserragliato nella torre, si difende dall’insurrezione popolare contro la sua nomina a senatore. Non sappiamo se e quali danni siano stati recati alla Torre dagli insorti guidati prima dal Capocci e sette lustri più tardi da Giovanni di Cencio. Delle sette meraviglie del mondo antico poco si è conservato e si è perduto perfino l’elenco, variamente ricostruito solo per via induttiva, ma la Torre dei Conti era certamente una delle meraviglie dell’età di mezzo: Francesco Petrarca (Familiares, XI, 7) la definisce unica al mondo e la anima, attribuendole perfino una consapevolezza, un pensiero, quasi una voce, uno sguardo, quando scrive che dopo il terremoto del 1348 la torre «come decapitata, contempla l’onore, disteso al suolo, della sua superba cima» («velut trunca caput, superbi verticis honorem solo effusum despicit»). 

Eterogenei sono anche i materiali, col rivestimento di marmi e travertini di riutilizzo provenienti dallo spoglio dei monumenti antichi circostanti. Rivestimenti tratti dai Fori, tutti come si può verificare di orientamento repubblicano, che testimoniano le sorti spesso peripatetiche dell’architettura romana, perché in seguito a un secondo spoglio, tolti dalla Torre a fine Cinquecento, quei marmi sono finiti a ornare Porta Pia. Poco prima di questa intenzionale demolizione, un vero e proprio scorticamento, la Torre era stata restaurata, in un continuo fare e disfare. Altre riparazioni avvengono nel 1690, con l’aggiunta dei contrafforti voluti da Fabio Chigi, Alessandro VII. Poi, nuovamente diroccata, viene adibita a fienile e deposito di carbone, come un qualsiasi altro riparo nei dintorni, presso il Campo vaccino e la Salara vecchia.

Così è in stato di abbandono quando, con la terza Roma, la Torre viene acquisita, col terreno attorno, dalla famiglia Nicolini che nel 1884 costruisce il suo palazzo affacciato sul Foro Romano, al termine di via Cavour: si libera il terreno da quanto lo ingombra e si tenta di demolire anche la torre. Ma l’ingegnere Francesco Mora non ci riesce (dopo non sappiamo quali e quanti tentativi). Quando fra il 1932 e il 1934 il Palazzo Nicolini, ancora quasi nuovo (per un edificio mezzo secolo è un tempo breve), viene demolito per fare largo alla nuova via denominata dei Monti (in riferimento non al rione ma ai Monti Tuscolani e in alternativa alla via del Mare), poi dell’Impero, quindi dei Fori Imperiali, proprio allo snodo con via Cavour, la Torre viene nuovamente risparmiata. Ma delle modalità delle adiacenti demolizioni dell’edificio Nicolini, contiguo, sorto quasi in aderenza, sempre poco o nulla sappiamo. Nel 1937 la Torre viene donata da Mussolini alla Federazione nazionale Arditi d’Italia, che vi rimane fino al 1943. All’interno si trova il salone del Tempio della Pace che nel 1938 viene trasformato in Mausoleo degli Arditi (vi è sepolto in un sarcofago romano il presidente della federazione, Alessandro Parisi). 

Non si creda che i fatti recenti siano via via più noti o meno incerti. Ad esempio, restano incognite le ragioni delle mancate puntellature della Torre, presidi che invece non sono mancati e sono ancora in essere su altri monumenti lungo il tracciato della linea C della metropolitana. O restano sconosciuti i possibili effetti delle demolizioni operate in danno alla via Alessandrina, con un’arbitraria modifica, in dispregio al Piano Regolatore, della viabilità storica rinascimentale voluta da Pio V. 

Non è questo il momento né la sede per parlare di distruzioni. Ma è certamente il momento di ricordare, a proposito della Torre, che la legge non ne consente la demolizione, ma ne impone il restauro (il monumento è tutelato tre volte: con l’ope legis per la proprietà pubblica, con il decreto di interesse culturale specifico, con la tutela d’insieme della via dei Fori imperiali), che alle puntellature, alla messa in sicurezza, alle opere provvisionali bisogna provvedere con immediatezza (e se non lo fa il Comune, attraverso la Sovrintendenza Capitolina, è tenuto a farlo per lo Stato il Ministero, attraverso l’ufficio competente che è la Soprintendenza del Colosseo), che non è il caso di far vacillare anche uno dei primati che abbiamo, riconosciuti nel mondo: la tradizione della tutela, del restauro. Sono trascorsi 223 anni dal chirografo di papa Pio VII, in data primo ottobre 1802, con l’editto Giuseppe Doria Pamphilj che regolava la protezione delle antichità e dei monumenti in Roma e nello Stato Ecclesiastico.

La Torre dei Conti prima del crollo. Foto Sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali, Roma

L’appello degli Accademici dei Lincei

Ieri, 9 novembre, 26 luminari dell’Accademia dei Lincei hanno rivolto un appello per la messa in sicurezza e il restauro del monumento attraverso una lettera che pubblichiamo qui di seguito:

Storici, archeologi e storici dell’arte dell’Accademia dei Lincei per il restauro e per un corretto uso della Torre dei Conti
Non sembra opportuno in questo momento esprimere giudizi sulla formulazione e sull’approvazione del progetto di restauro della Torre dei Conti, sui motivi che abbiano indotto il Comune di Roma a prevedere destinazioni d'uso con pesanti dotazioni impiantistiche (caffetteria panoramica alla sommità, museo archeologico e sala conferenze), e infine su come si sia ritenuto di poter spendere circa sette milioni di euro nei sette mesi restanti su una struttura tanto complessa e limitante. È però necessario osservare fin d’ora che:
– la torre è un importante monumento della Roma medievale e la legge ne contempla la conservazione, in nessun caso la demolizione, esistendo le conoscenze e i mezzi per provvedere nei modi più corretti e sicuri;
– le puntellature per la sicurezza delle persone e delle strutture antiche devono essere realizzate con immediatezza: se non lo fa il Comune, è tenuto a farlo lo Stato tramite il Ministero della Cultura;
– non si deve far vacillare uno dei primati che abbiamo in Italia, riconosciuti nel mondo: la tradizionale capacità nella tutela e nel restauro del patrimonio storico e artistico;
– la torre debba essere destinata alle sue funzioni naturali di monumento, come gli altri resti antichi nell’area dei Fori imperiali, e che vi possano essere consentiti usi compatibili con i suoi caratteri architettonici e storici, senza provocare alterazioni incongrue e danneggiamenti.

Francesco Scoppola, 10 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

Altri articoli dell'autore

Dopo un secolo di degrado sono in corso i restauri della residenza a pochi passi dal Colosseo, riportando alla luce degli affreschi attribuibili alla scuola di Perin del Vaga

Il re nudo • Secondo Francesco Scoppola, socio dell’Istituto Nazionale di Archeologia e di Storia dell’Arte (Inasa), non sempre e non tutto si può e si deve rendere accessibile

Chi sono le «stelle dell’architettura» in Italia? E soprattutto: perché gli architetti, non solo i più affermati e famosi, desiderano intervenire nei contesti storici di pregio?

La cessione in uso anche di un solo vano all’Università consentirebbe di restituire all’originaria funzione il cortile, la chiesa cappella, le scale, i portici, i loggiati, oggi frequentati solo da turisti occasionali e da pochi altri fruitori

La Torre dei Conti non può essere demolita | Francesco Scoppola

La Torre dei Conti non può essere demolita | Francesco Scoppola