Una veduta del Computer Village a Ikeja, Lagos, il più grande mercato di computer, dispositivi elettronici e telefoni nuovi e usati della Nigeria. La sua trasformazione data alla metà dagli anni ’90, quando da quartiere prevalentemente residenziale e divenuto un affollato La sua trasformazione è iniziata a metà degli anni '90, quando da quartiere prevalentemente residenziale è diventato un vivace centro per i prodotti tecnologici. Nel 2001 il mercato era già consolidato e si stima che le entrate giornaliere arrivino a 1,3 milioni di dollari. È il più grande datore di lavoro di laureati in ingegneria in Nigeria It began its transformation in the mid-1990s when it shifted from a primarily residential area to a bustling hub for tech products. By 2001, the market had become well-established, generating significant revenue, with estimates suggesting it brought in as much as $1.3 million daily. It is the largest employer of engineering graduates in Nigeria. Film - Kachi Benson

Foto Amanda Iheme & Nengi Nelson. Mapping Oshinowo Studio e Katangua Market Union

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Una veduta del Computer Village a Ikeja, Lagos, il più grande mercato di computer, dispositivi elettronici e telefoni nuovi e usati della Nigeria. La sua trasformazione data alla metà dagli anni ’90, quando da quartiere prevalentemente residenziale e divenuto un affollato La sua trasformazione è iniziata a metà degli anni '90, quando da quartiere prevalentemente residenziale è diventato un vivace centro per i prodotti tecnologici. Nel 2001 il mercato era già consolidato e si stima che le entrate giornaliere arrivino a 1,3 milioni di dollari. È il più grande datore di lavoro di laureati in ingegneria in Nigeria It began its transformation in the mid-1990s when it shifted from a primarily residential area to a bustling hub for tech products. By 2001, the market had become well-established, generating significant revenue, with estimates suggesting it brought in as much as $1.3 million daily. It is the largest employer of engineering graduates in Nigeria. Film - Kachi Benson

Foto Amanda Iheme & Nengi Nelson. Mapping Oshinowo Studio e Katangua Market Union

La Venezia di Ratti sarà un «laboratorio vivente» all’insegna di ottimismo, adattamento e interdisciplinarietà

Alla Biennale di Architettura previste oltre 750 partecipazioni individuali e di organizzazioni (dagli architetti ai matematici, dai cuochi agli agricoltori), e 66 nazionali, comprese quattro new entry: Repubblica dell’Azerbaigian, Sultanato dell’Oman, Qatar e Togo  

Dai «domicidi» prodotti dalla follia delle guerre «in Birmania, Ucraina, a Gaza, con la distruzione deliberata e sistematica di case, scuole, università, ospedali, per togliere all’uomo la sua identità e ridurlo a mandria» all’emergenza climatica e ambientale: incendi, siccità, alluvioni e devastazioni di violenza in aumento, sono tematiche urgenti a cui l’architettura è chiamata a rispondere, ragionando non solo in termini di mitigazione, come fa da decenni per ridurre l’impatto sul pianeta, ma anche di adattamento. Sono questi i poli tra i quali si sono mossi i due discorsi di presentazione della 19ma Biennale di Architettura di Venezia, «Intelligens. Natural. Artificial. Collective», pronunciati rispettivamente dal presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco, citando Luciano Violante, e dal curatore di questa edizione, Carlo Ratti, architetto e ingegnere, docente al Massachusetts Institute of Technology e al Politecnico di Milano. Ratti ha sottolineato il dovere dell’architettura di presentare idee e di essere sempre più «engaged», intrecciata alla tecnica e alla politica: «Alla società e agli individui, la facoltà poi di scegliere tra le proposte e le soluzioni che l’architettura deve offrire».

Una Biennale di cui il curatore ha snocciolato i numeri che ci attendono, dal 10 maggio al 23 novembre, destinati a variare prima dell’apertura, rimanendo più riservato sulla dislocazione e sulla definizione dei progetti in cui ci si potrà immergere lungo i quasi sette mesi di durata: più di 750 le partecipazioni individuali e di organizzazioni, tra i quali non solo architetti e ingegneri, ma anche matematici e scienziati del clima, filosofi e artisti, cuochi e programmatori, scrittori e intagliatori, agricoltori e stilisti, compositori e scenografi, e altro. Sessantasei le partecipazioni nazionali distribuite tra i Padiglioni ai Giardini (26), all’Arsenale (25) e nel centro storico di Venezia (15), quattro le nuove partecipazioni con la Repubblica dell’Azerbaigian, il Sultanato dell’Oman, il Qatar e il Togo. Alla curatela di Guendalina Salimei è affidato il Padiglione Italia alle Tese delle Vergini in Arsenale, mentre Marina Otero Verzier e Giovanna Zabotti saranno le curatrici del Padiglione della Santa Sede nel Complesso di Santa Maria Ausiliatrice con una mostra dal titolo «Opera aperta».

Che lo sguardo voglia essere positivo e ottimistico, sarà testimoniato dall’installazione «Il terzo Paradiso» di Michelangelo Pistoletto che allude alla possibilità di ritrovare l’armonia nel rapporto tra uomo e natura, alla conciliazione possibile tra naturale e artificiale. La Fondazione Cittadellarte Onlus di Pistoletto è coinvolta anche nel progetto in apertura delle Corderie, frutto della collaborazione tra gli scienziati del clima Sonia Seneviratne e David Bresch, gli ingegneri climatici tedeschi Transsolar e lo storico dell’ambiente Daniel A. Barber, introducendo la riflessione sulla prima delle domande a cui la Biennale cerca di dare una risposta: «Come sarà il clima di domani?».

Se per Buttafuoco quindi il «dovere di un’istituzione pubblica è offrire la possibilità dell’esercizio costante di quella magnifica libertà che è lo spirito critico», Ratti trasforma Venezia in un «laboratorio vivente», dove ci sarà modo di ripensare il rapporto con i canali e concepire una mobilità acquatica sostenibile (progetto di Norman Foster Foundation, Michael Mauer e Ragnar Schulte di Porsche, Miguel Kreisler di Empty+Bau e Christopher Hornzee-Jones di Aerotrope), e persino di bere un ottimo espresso prodotto con l’acqua dei canali purificata. In totale saranno 280 i progetti, selezionati tra quelli arrivati «come un’ondata dal basso» grazie alla call lanciata a maggio scorso da un team curatoriale dalle competenze trasversali per età e ambiti. Due i progetti speciali: Margherissima, all’interno della Polveriera austriaca di Forte Marghera a Mestre, sull’area di Marghera e il territorio contaminato nei pressi del Ponte della Libertà, mentre il Padiglione delle Arti Applicate, per il nono anno consecutivo presentato dalla Biennale di Venezia e dal Victoria and Albert Museum di Londra, intitolato «On Storage», a cura di Brendan Cormier, esplora l’architettura globale degli spazi di deposito.

Ottimismo, adattamento e interdisciplinarietà sono dunque le parole chiave dell’edizione pensata da Ratti, obiettivi da raggiungere costruendo relazioni: con la COP30 delle Nazioni Unite a Belem, con la C40, con la Baukultur Alliance di Davos, con il Soft Power Club e altri. Ma anche facendo appello «a tutte le forme di intelligenza, in maniera corale, oltre i limiti di un focus limitato all’Intelligenza Artificiale e alle tecnologie digitali» per «ripensare il modo in cui progettiamo in vista di un mondo profondamente cambiato, diventando flessibile e dinamica, proprio come il mondo per cui sta progettando». Alle Corderie dell’Arsenale si parte da un dato di fatto, quello della diminuzione della popolazione a fronte dell’aumento delle temperature globali: «È la realtà che gli architetti devono affrontare nell’età dell’adattamento, ha concluso Ratti. Partendo da qui, i visitatori attraverseranno tre mondi tematici: Natural Intelligence, Artificial Intelligence, dove tra l’altro ricercatori ucraini utilizzano la computer vision per mappare e ricostruire le città distrutte, e Collective Intelligence. La mostra culmina quindi nella sezione «Out» con un’altra domanda: possiamo guardare allo spazio come una soluzione alle crisi che affrontiamo sulla Terra? La nostra risposta è no: l’esplorazione dello spazio non è una via di fuga, ma un mezzo per migliorare la vita qui, nell’unica casa che conosciamo».

Carlo Ratti, curatore della Biennale di Architettura 2025. Foto Andrea Avezzù

Camilla Bertoni, 11 febbraio 2025 | © Riproduzione riservata

La Venezia di Ratti sarà un «laboratorio vivente» all’insegna di ottimismo, adattamento e interdisciplinarietà | Camilla Bertoni

La Venezia di Ratti sarà un «laboratorio vivente» all’insegna di ottimismo, adattamento e interdisciplinarietà | Camilla Bertoni