Dai «domicidi» prodotti dalla follia delle guerre «in Birmania, Ucraina, a Gaza, con la distruzione deliberata e sistematica di case, scuole, università, ospedali, per togliere all’uomo la sua identità e ridurlo a mandria» all’emergenza climatica e ambientale: incendi, siccità, alluvioni e devastazioni di violenza in aumento, sono tematiche urgenti a cui l’architettura è chiamata a rispondere, ragionando non solo in termini di mitigazione, come fa da decenni per ridurre l’impatto sul pianeta, ma anche di adattamento. Sono questi i poli tra i quali si sono mossi i due discorsi di presentazione della 19ma Biennale di Architettura di Venezia, «Intelligens. Natural. Artificial. Collective», pronunciati rispettivamente dal presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco, citando Luciano Violante, e dal curatore di questa edizione, Carlo Ratti, architetto e ingegnere, docente al Massachusetts Institute of Technology e al Politecnico di Milano. Ratti ha sottolineato il dovere dell’architettura di presentare idee e di essere sempre più «engaged», intrecciata alla tecnica e alla politica: «Alla società e agli individui, la facoltà poi di scegliere tra le proposte e le soluzioni che l’architettura deve offrire».
Una Biennale di cui il curatore ha snocciolato i numeri che ci attendono, dal 10 maggio al 23 novembre, destinati a variare prima dell’apertura, rimanendo più riservato sulla dislocazione e sulla definizione dei progetti in cui ci si potrà immergere lungo i quasi sette mesi di durata: più di 750 le partecipazioni individuali e di organizzazioni, tra i quali non solo architetti e ingegneri, ma anche matematici e scienziati del clima, filosofi e artisti, cuochi e programmatori, scrittori e intagliatori, agricoltori e stilisti, compositori e scenografi, e altro. Sessantasei le partecipazioni nazionali distribuite tra i Padiglioni ai Giardini (26), all’Arsenale (25) e nel centro storico di Venezia (15), quattro le nuove partecipazioni con la Repubblica dell’Azerbaigian, il Sultanato dell’Oman, il Qatar e il Togo. Alla curatela di Guendalina Salimei è affidato il Padiglione Italia alle Tese delle Vergini in Arsenale, mentre Marina Otero Verzier e Giovanna Zabotti saranno le curatrici del Padiglione della Santa Sede nel Complesso di Santa Maria Ausiliatrice con una mostra dal titolo «Opera aperta».
Che lo sguardo voglia essere positivo e ottimistico, sarà testimoniato dall’installazione «Il terzo Paradiso» di Michelangelo Pistoletto che allude alla possibilità di ritrovare l’armonia nel rapporto tra uomo e natura, alla conciliazione possibile tra naturale e artificiale. La Fondazione Cittadellarte Onlus di Pistoletto è coinvolta anche nel progetto in apertura delle Corderie, frutto della collaborazione tra gli scienziati del clima Sonia Seneviratne e David Bresch, gli ingegneri climatici tedeschi Transsolar e lo storico dell’ambiente Daniel A. Barber, introducendo la riflessione sulla prima delle domande a cui la Biennale cerca di dare una risposta: «Come sarà il clima di domani?».
Se per Buttafuoco quindi il «dovere di un’istituzione pubblica è offrire la possibilità dell’esercizio costante di quella magnifica libertà che è lo spirito critico», Ratti trasforma Venezia in un «laboratorio vivente», dove ci sarà modo di ripensare il rapporto con i canali e concepire una mobilità acquatica sostenibile (progetto di Norman Foster Foundation, Michael Mauer e Ragnar Schulte di Porsche, Miguel Kreisler di Empty+Bau e Christopher Hornzee-Jones di Aerotrope), e persino di bere un ottimo espresso prodotto con l’acqua dei canali purificata. In totale saranno 280 i progetti, selezionati tra quelli arrivati «come un’ondata dal basso» grazie alla call lanciata a maggio scorso da un team curatoriale dalle competenze trasversali per età e ambiti. Due i progetti speciali: Margherissima, all’interno della Polveriera austriaca di Forte Marghera a Mestre, sull’area di Marghera e il territorio contaminato nei pressi del Ponte della Libertà, mentre il Padiglione delle Arti Applicate, per il nono anno consecutivo presentato dalla Biennale di Venezia e dal Victoria and Albert Museum di Londra, intitolato «On Storage», a cura di Brendan Cormier, esplora l’architettura globale degli spazi di deposito.
Ottimismo, adattamento e interdisciplinarietà sono dunque le parole chiave dell’edizione pensata da Ratti, obiettivi da raggiungere costruendo relazioni: con la COP30 delle Nazioni Unite a Belem, con la C40, con la Baukultur Alliance di Davos, con il Soft Power Club e altri. Ma anche facendo appello «a tutte le forme di intelligenza, in maniera corale, oltre i limiti di un focus limitato all’Intelligenza Artificiale e alle tecnologie digitali» per «ripensare il modo in cui progettiamo in vista di un mondo profondamente cambiato, diventando flessibile e dinamica, proprio come il mondo per cui sta progettando». Alle Corderie dell’Arsenale si parte da un dato di fatto, quello della diminuzione della popolazione a fronte dell’aumento delle temperature globali: «È la realtà che gli architetti devono affrontare nell’età dell’adattamento, ha concluso Ratti. Partendo da qui, i visitatori attraverseranno tre mondi tematici: Natural Intelligence, Artificial Intelligence, dove tra l’altro ricercatori ucraini utilizzano la computer vision per mappare e ricostruire le città distrutte, e Collective Intelligence. La mostra culmina quindi nella sezione «Out» con un’altra domanda: possiamo guardare allo spazio come una soluzione alle crisi che affrontiamo sulla Terra? La nostra risposta è no: l’esplorazione dello spazio non è una via di fuga, ma un mezzo per migliorare la vita qui, nell’unica casa che conosciamo».
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Carlo Ratti, curatore della Biennale di Architettura 2025. Foto Andrea Avezzù