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Mauro Felicori

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Mauro Felicori

La comunicazione fa miracoli a metà

«Sfrontatezza e coraggio politico»: così il direttore-manager ha rilanciato la Reggia di Caserta, tornata tra le grandi mete  del turismo. Eppure quasi nulla è cambiato nel parco e nelle sale. Per questo, spiega, «dopo il marketing urge la manutenzione» 

Nominato direttore della Reggia di Caserta due anni fa dopo aver vinto il concorso del Mibact che ha scelto i responsabili dei maggiori musei italiani, Mauro Felicori ha iniziato il suo mandato tra le proteste dei sindacati interni perché, hanno detto, lui «lavorava troppo». Tiene subito a precisare di essere «un manager, anzi l’unico manager tra i 32 direttori usciti dal concorso. Del resto, la polemica sui manager che sarebbero incompetenti a guidare un museo è volutamente falsa, nata per combattere Franceschini». Felicori ha 65 anni, è bolognese, laureato in Filosofia ma specializzato in «economia della cultura e politiche culturali». È stato per molti anni dirigente dei settori culturali del Comune di Bologna e docente universitario, sempre a Bologna, di «gestione e organizzazione delle imprese culturali». A Caserta, il successo più evidente per Felicori si riassume in due cifre: in 24 mesi i visitatori della Reggia sono passati dai 480mila del 2015 agli 800mila previsti per fine 2017. Eppure niente è cambiato per chi visita il Palazzo: tutto è come prima negli Appartamenti reali, lo stesso nella Pinacoteca, qualche differenza solo nell’allestimento, assai criticato, di «Terrae Motus», la sezione di arte contemporanea. E resta tanto da fare perché il colossale edificio progettato nel ’700 da Luigi Vanvitelli per re Carlo di Borbone, dopo anni di decadenza, ha bisogno di tutto e così il parco sterminato e le spettacolari fontane. Sito Unesco dal 1997, la Reggia si erge con la sua mole orizzontale di 250 metri davanti alla Stazione ferroviaria. Chi arriva col treno comincia la visita da lì, ma per raggiungere il cancello d’ingresso deve attraversare una vasta spianata incolta, un impresentabile ex giardino all’italiana. Da anni è abbandonato. Un problema irrisolto che fa arrabbiare Felicori: «È un pessimo biglietto da visita. Il fatto è che il terreno davanti alla Reggia è del Comune di Caserta al quale spetta la manutenzione. Da tempo insisto perché intervenga».
 

Qual è il motivo del ritorno in massa dei turisti alla Reggia, visto che per i visitatori poco è cambiato?

Per arrivare a dove siamo bastava l’intraprendenza, un po’ di coraggio politico e di sfrontatezza. Tutto quello che si poteva fare senza una macchina amministrativa efficiente è stato fatto. Mi attribuisco qualche merito: soprattutto un lavoro enorme di comunicazione e di marketing, perché da alcuni anni la Reggia era scomparsa, era una meta dimenticata dal turismo; abbiamo poi risolto una serie di problemi fermi da anni come quello dei tanti inquilini che la occupavano senza titolo. Il processo è iniziato, anche se ci sono già dei ritardi. Nei lunedì di Pasqua abbiamo riaperto il parco, da vent’anni chiuso per paura di devastazioni. Non ci sono più gli ambulanti abusivi che vendevano di tutto sui loro tappeti, per terra, dentro la Reggia. Quelli all’esterno ci sono ancora, sono parte della fisiologia locale: purché siano garbati con i turisti... Mi sono rassegnato. Poi c’è il grande piano dei restauri per il quale non ho un particolare merito. Abbiamo lavori previsti per 67 milioni: le due facciate sono finite e bellissime come due dei cortili interni. Con qualche ritardo, il programma dovrebbe andare avanti. Nella mia testa quello dei restauri è un problema risolto. Devo soltanto controllare i tempi.

Ora molti spazi della Reggia sono liberi. Come pensa di usarli?

Ho già cominciato: le «cavallerizze», 1.000 metri ben restaurati, sono affittate al Consorzio della Mozzarella di Bufala Campana, il prodotto tipico più importante della zona. Un altro palazzo vuoto è andato all’Accademia di Belle Arti di Napoli per aprire una scuola di restauro per studenti da tutto il mondo. Questo anche perché la mia idea è di reinserire Caserta nel sistema napoletano. Ma ci sono altri spazi disponibili. 

Quali saranno le sue prossime mosse?

Quest’anno i visitatori saranno 800mila, ma entro il 2019, quando scadrà il mio contratto con il Mibact, penso di arrivare al milione. Ma devo cominciare a spostare il baricentro dei miei interessi dall’esterno all’interno perché ho soprattutto cavalcato l’onda positiva della comunicazione. Adesso il mio problema più grave è nel funzionamento degli uffici.

Non ha ancora parlato del parco, che appare in sofferenza. La gara d’appalto per la manutenzione è conclusa da poco. Il problema è anche nel settecentesco «acquedotto Carolino», che da 260 anni porta l’acqua da sorgenti lontane e alimenta cascate e bacini della Reggia. Problemi risolti?

No, perché l’estate scorsa le sorgenti si sono seccate e noi siamo rimasti senza la nostra acqua, ma non abbiamo alternative perché l’impianto di riciclaggio si è rotto 15 anni fa e nessuno lo ha riparato. Per rimetterlo in funzione ci vuole una gara e per farla ci vogliono specialisti che non ho e averli è quasi impossibile.

Perché quasi impossibile?

Dipende dai meccanismi interni al Ministero, che sono sconcertanti: è ammessa soltanto la «mobilità volontaria». Insomma devo trovare un ragioniere del Mibact che desidera venire alla Reggia, in pratica deve essere qualcuno che abita a Caserta e dintorni. Ma ho trovato cento cose che non funzionano. Le conosco tutte e so di non poterne affrontare più di una al mese. Per questo sono quello che parla meno bene di Caserta. 

Come giudica fin qui la sua esperienza?

Ho fatto molta comunicazione, poca manutenzione. Il parco è in condizioni gravi. Proprio nel parco, nel giardino inglese e nello stesso palazzo sono visibili i risultati di una manutenzione che manca da dieci-quindici anni. Abbiamo riacceso le luci su un monumento che era nel buio e questo rende anche più evidenti i suoi problemi.

Alcuni sindacalisti hanno detto che la folla delle domeniche gratuite provoca danni al parco e negli appartamenti... 

Il problema è un altro. Le domeniche gratuite sono state un’eccellente intuizione politica. Per noi il problema viene dall’applicazione non flessibile del principio. In alta stagione, io raggiungo il tetto massimo di ingressi negli Appartamenti reali, cioè 4mila al mattino e altrettanti nel pomeriggio, anche quando si paga. Ho chiesto al ministro: «Dobbiamo avere 12 domeniche gratuite all’anno?» Io ne posso fare anche 24 ma fai decidere a me quando. Da novembre a marzo posso farne anche 36: sabato, domenica e lunedì.

Per il parco si parla di una sorveglianza difficile: ragazzi che fanno il bagno nelle vasche, rifiuti abbandonati, gare di vela nella peschiera...

Il nostro servizio di sorveglianza non è uniformemente attivissimo. Lo spazio è immenso, i custodi usano anche le loro auto. Adesso stiamo facendo la gara per acquistare macchine elettriche; qui mancano anche cose semplici ma importanti: il nostro personale non ha ancora le divise! Quando sono arrivato, sui pavimenti e sulle mattonelle antiche degli appartamenti reali mancavano le guide di protezione.

Tutto questo perché non c’erano soldi?

Quando sono arrivato non c’era un euro in cassa. Adesso i soldi ci sono. Il problema è la vischiosità nella capacità di spesa, sempre perché ho pochi funzionari a fronte di una serie di gare necessarie. Avrei bisogno di sei-sette funzionari di una certa esperienza: contabili, amministrazione del personale, informatici. 

La accusano di aver trasformato il parco in un Luna Park, con spettacoli e la gara di canottaggio tra Oxford e Cambridge, tutto per fare cassa. 

Questi eventi, nella vastità del parco sono irrilevanti, e vale anche per la gara di canottaggio: avevamo montato una piccola tribuna, c’erano delle tende. Quanto alle altre iniziative: la Reggia non guadagna nulla, ma secondo me questo è il modo giusto per far vivere il Palazzo Reale. Qui i Borbone tenevano grandi feste e noi abbiamo fatto una gara di vela nella peschiera dove la Lega navale fa un corso per i ragazzi del Rione Sanità. Ricordo che la peschiera è stata realizzata da re Ferdinando per fare battaglie navali. Una cosa ho rifiutato: i grandi concerti. 

Come vede la situazione dei musei dopo la riforma Franceschini?

È stata una rivoluzione, ma è ancora a metà strada perché non è stato affrontato il nodo del personale. Credo che chi verrà dopo Franceschini dovrà prendere una delle due strade: o la riforma del Ministero della cultura viene inserita in una più vasta riforma della pubblica amministrazione che la faccia funzionare secondo le regole dell’efficienza oppure bisogna trovare vie parziali, per esempio trasformare i musei autonomi in fondazioni. 

Potrebbe essere un vantaggio renderli ancora più autonomi?

Io non posso assumere, né licenziare e neppure premiare o punire, non posso fare nulla. Ho fatto fatica persino ad avere un ragioniere per fare il bilancio. E poi gli accordi sindacali sono paralizzanti: ma è inutile dare la colpa ai sindacati. Chi ha firmato quegli accordi? I dirigenti non hanno le leve per gestire il personale, i lavoratori sono fermi, nessuno fa carriera, non c’è spazio per la contrattazione salariale. Con questo non sottovaluto l’autonomia concessa dalla riforma: è importante che tutte le entrate restino alla Reggia, salvo il «contributo di solidarietà» del 20%.

Quali altri interventi vorrebbe per far funzionare meglio i musei?

Adesso abbiamo 32 musei autonomi, e sono stati creati i Poli regionali, di fatto senza un’identità precisa. Tutto quello che non è stato reso autonomo è finito in un Polo Museale. In chimica esistono degli «stati di instabilità». Vale anche per i Poli regionali: così come sono non possono durare perché troppo eterogenei. La mia visione è questa: i grandi musei autonomi devono diventare i centri intorno ai quali ruota il sistema. Vedo due possibilità: prima, i piccoli musei entrano a far parte di un grappolo ed entrano nella costellazione dei grandi musei. Questo può avvenire in due modi: per «disciplina» o per «area»: da noi, per esempio, i musei archeologici lungo l’Appia campana potrebbero entrare nella costellazione dell’Archeologico di Napoli. Della mia costellazione potrebbero far parte i musei borbonici, a cominciare da Carditello e San Leucio, e non solo quelli statali. L’altro modo è aggregare i piccoli musei per «area», da noi unire quelli del casertano e del beneventano. Io preferirei la prima soluzione. 
 

Edek Osser, 01 novembre 2017 | © Riproduzione riservata

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