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Da un unico progetto messo a punto da Lucia Mannini, Anna Mazzanti, Giulio Paolucci e Alessandra Tiddia, sono scaturite le due mostre «Etruschi del Novecento», distinte e complementari, la prima delle quali si è appena conclusa al Mart di Rovereto, mentre la seconda debutta il 2 aprile alla Fondazione Luigi Rovati di Milano (fino al 3 agosto), dove una densa selezione di opere dà conto dell’influsso esercitato dalla cultura etrusca sull’arte italiana del secolo passato.
Stimolato dalla scoperta, nel 1916, dell’enigmatico «Apollo di Veio», l’interesse per questa cultura a lungo misteriosa è stato potenziato, nell’arte visiva, dai suoi modi anticlassici, per certi versi espressionisti, consonanti con i linguaggi più sperimentali del ’900. Non è un caso che ad accogliere i visitatori nel piano ipogeo del museo, progettato da Mario Cucinella, sia uno degli sconvolgenti «Leoni urlanti» di Mirko Basaldella, una sorta di chimera del ’900, le fauci spalancate e una serpe avvolta alle zampe, qui subito seguita, fra i reperti della collezione permanente etrusca, dalle suggestioni esercitate dagli «askoi» (vasi per i liquidi oleosi) e dalle ciste etrusche sull’immaginario di Gio Ponti e Libero Andreotti quando, nei secondi anni ’20, modellavano e decoravano per la Richard-Ginori le ciste della serie «La passeggiata archeologica»; cui si aggiungono i «Recumbenti moderni», quelle figure reclinate che sormontavano i sarcofagi etruschi, qui reinterpretati da Arturo Martini e da Leoncillo.
Salendo al piano nobile, dove è esposta la collezione di arte contemporanea della Fondazione Rovati, ecco l’indagine sulla «Fortuna degli Etruschi», con volumi d’arte, riviste, grafiche dalla fine dell’800 agli anni ’80 del ’900. La mostra si dilata anche ad altre istituzioni: al Museo del Novecento, dove è conservata la scultura di Marino Marini «Popolo», 1929, e a Villa Necchi Campiglio-Fai, dove si trova quel capolavoro che è «L’amante morta», 1921-22 di Arturo Martini, che presidiava l’ingresso della casa della gallerista e studiosa Claudia GianFerrari, e che ora è in questi spazi, con tutta la sua preziosa collezione.