Alessandro Martini
Leggi i suoi articoli«Personaggio» complesso e dilagante, Vittorio Sgarbi è da tempo una figura centrale nel dibattito artistico e culturale italiano. Oggi, dopo la nomina a sottosegretario alla Cultura a fine 2022, straripa onnipresente. Dall’Iva sulle opere d’arte alle prese di posizione contro eolico e fotovoltaico (a rischio di infiltrazioni mafiose, sottolinea), dalla pensilina Isozaki per l’uscita degli Uffizi (bocciata) al riallestimento di Michele De Lucchi della «Pietà Rondanini» di Michelangelo a Milano (bocciato anche questo: «Indecoroso per Michelangelo e offensivo per la grande tradizione museografica italiana»), fino alla tutela del presepe secondo la «tradizione identitaria» nazionale, non c’è tema su cui non sia intervenuto e non abbia fatto sentire la sua voce. Spesso fuori dal coro, altrettanto spesso contestata. E non di rado in contrasto con la stessa linea del Governo e del Ministero di cui pure è parte e rappresentante: basti pensare a quando, lo scorso 3 ottobre, ha annunciato e criticato la nomina di Luca Cerizza a curatore del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia del prossimo anno, prima ancora che il ministro Sangiuliano la ratificasse.
A confermare la sua centralità, se mai servissero, sono i 95 articoli su di lui pubblicati nel solo ilgiornaledellarte.com dal 2 febbraio ad oggi, 17 novembre, quando scriviamo questo testo. E molte altre occasioni ci saranno ancora, da qui alla fine dell’anno, e oltre. Perché Vittorio Sgarbi è dilagante: tuttologo e onnisciente, irruento come da copione, mai scontato. Inventore e curatore di mostre capaci di imporre tendenze e cambiare visioni (da Canova a Leonor Fini, da Arrigo Minerbi a Gian Enzo Sperone), è presidente del Mart di Rovereto, a cui ha dato un’impronta personalissima.
Saggista prolifico, per La nave di Teseo, la casa editrice della sorella Elisabetta, ha da poco dato alle stampe Michelangelo. Rumore e paura, preceduto da Scoperte e rivelazioni. Caccia al tesoro dell’arte: una caccia (grande passione di Sgarbi) condotta in musei, palazzi, case d’asta e chiese di provincia, in luoghi comunque remoti e poco battuti, che conosce come nessun altro, scoprendo o riattribuendo opere di Caravaggio (a Madrid) e di Canova (in una collezione privata), e poi Cagnacci, Lotto, Guercino, Ribera, Sassoferrato...
Potente (e spesso anche ingerente), forte della sua carica istituzionale, tra luci e ombre, è lui il più evidente protagonista della politica culturale italiana oggi. Ed è quindi lui la «persona» del 2023 secondo la redazione di «Il Giornale dell’Arte». Il 2023 di Sgarbi si apriva, il 2 gennaio, con il sequestro da parte dei Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale del dipinto di Pieter Paul Rubens «Cristo risorto appare alla madre», esposto a Genova nella mostra «Rubens a Genova» a Palazzo Ducale: «Frutto di un errore il sequestro, in corso di mostra, di un dipinto controverso, la cui attribuzione a Rubens poggia su una opinione, garantita dall’articolo 21 della Costituzione, comunque discutibile, tuona Sgarbi. L’autorizzazione all’esportazione è legittima: non legittimo è presupporre che l’opera sia di Rubens».
Proprio quello dell’esportazione di opere di proprietà privata, all’interno della più vasta questione del mercato dell’arte e dei suoi eccessivi vincoli, è un tema caro a Sgarbi e attraversa l’intera annata, fino alla vicenda recente della collezione Agnelli, nuovamente sollevata dalla trasmissione «Report» di Rai3. Presente a tutto campo, il 6 febbraio, in vista del festival più amato agli italiani, si dedicava alla musica rivolgendo un appello direttamente al conduttore Amadeus: «Il Festival di Sanremo sia anche una vetrina internazionale per la musica classica». Aggiungendo: «Sanremo è come una chiesa che accoglie tutti» e in cui «si parla di tutto ma mai di arte, né di Caravaggio né di Pasolini».
Poco dopo, è la volta della Biennale di Architettura di Venezia: «Non si comprendono le ragioni dell’esclusione degli architetti russi. Ogni discriminazione rispetto alla creatività è ingiusta», chiedendo «che anche le esperienze attuali legate al regime putiniano siano conosciute e discusse». Dell’8 marzo è uno degli interventi più significativi dell’anno: «Il Governo intende recepire la direttiva Ue che riduce l’Iva sull’importazione delle opere d’arte dal 10 al 5,5%, che agevolerà certamente le transazioni e dunque la circolazione delle opere, e potrà dare un contributo concreto alla ripresa del mercato dell’arte e dell’antiquariato». Non è certo una novità, ma la concretizzazione di una serie di dichiarazioni e di azioni a lungo perseguite da Sgarbi ben prima di diventare sottosegretario.
Segue la promessa «ministeriale» al Convegno nazionale dei mercanti d’arte Fima: «Stop alle notifiche sotto i 100 anni». Nel campo dei musei statali autonomi, dopo vari distinguo in particolare sull’opportunità di nominare direttori «stranieri» a cui «la riforma Franceschini puntava ad aprire le porte», Sgarbi dichiara che «per il prossimo bando (in corso, Ndr) penseremo a commissioni i cui membri siano più legati al territorio». Nel campo del restauro, sostiene a spada tratta la messa in sicurezza del murale «Bambino migrante» in Campo San Pantalon a Venezia (una delle due sole opere di Banksy presente in Italia, realizzata nel 2019 su un edificio privato).
In quello della tutela urbana, lancia l’allarme per il «cupio dissolvi» di Milano e per la ripetuta demolizione o trasformazione di edifici di pregio, seppur non tutelati. Fino alla recente vicenda dello studio per il «Martirio di san Sebastiano» attribuito a Leonardo, oggi in Francia e in vendita. Il ministro dichiara: «Se dovesse davvero finire all’asta, verificheremo tutte le strade possibili». E Sgarbi immediatamente replica: «Sprovveduto chi lo volesse acquistare, anche a un centesimo della cifra richiesta. Il disegno non è di Leonardo ed è mediocre. Dobbiamo essere competenti o prudenti». Da parte sua, il ministro ha replicato intervenendo sulle presunte «consulenze» retribuite a Sgarbi e ha dichiarato seccamente a «Il Fatto Quotidiano»: «Non ne sapevo nulla. Ho già avvertito Meloni. Del resto non l’ho voluto io». Si parla di 300mila euro per consulenze, presentazioni e mostre, nonostante la legge 215 del 2004 impedisca a chi è titolare di cariche di governo «attività professionali o di lavoro autonomo in materie connesse alla carica [...], anche se gratuite, a favore di soggetti pubblici e privati».
Ma Sgarbi si è dedicato anche alla diplomazia internazionale. Prima con l’ambasciatore dell’Iran in Italia Mohammad Reza Sabouri, per «favorire il dialogo in momenti di crisi come questo». Più recentemente con Edi Rama, primo ministro dell’Albania ma anche pittore, con cui ha avviato una collaborazione proprio nei giorni dell’accordo, criticatissimo, per i «campi profughi» extraterritoriali. Insomma, oggi in Italia non c’è politica culturale di cui Sgarbi non sia artefice, fustigatore o censore. In ogni caso protagonista con cui è necessario confrontarsi. Piaccia o non piaccia.
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