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Il «Seoul Studio» di Massimo De Carlo

Cortesia di Massimo De Carlo

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Il «Seoul Studio» di Massimo De Carlo

Cortesia di Massimo De Carlo

La «piazza» asiatica: bolla speculativa o vero mercato del futuro?

Oggi Shanghai e Seul sono mete ambite dai galleristi occidentali per avere una base permanente: Galleria Continua a Pechino, Perrotin a Seul, Tokyo e Shanghai, Lehmann Maupin, Gagosian e Massimo De Carlo a Seul 

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Giorgio Guglielmino

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La direttrice di una galleria milanese mi esprimeva i suoi dubbi sulla crescente importanza di una piazza come Seul, giudicata da lei una bolla speculativa, e in genere sul mercato asiatico per l’espansione delle gallerie occidentali. È una posizione non isolata che rispecchia anche la visione generale, al di là dell’ambito dell’arte moderna e contemporanea, che molte persone hanno del continente asiatico. Solitamente però rispecchia l’ottica di chi in Asia non è mai stato.

Quello di alcuni galleristi occidentali è stato in principio un amore a prima vista per Hong Kong. Ben Brown è un caso a parte perché lui stesso è cresciuto nella Hong Kong ancora britannica, dove fu il primo occidentale ad aprire nel 2009 una galleria d’arte. Ma dopo di lui in ordine sparso Gagosian, Simon Lee, White Cube, Massimo De Carlo e altri sbarcarono in città. Hong Kong è sempre stato considerato un hub particolare, più internazionale che propriamente asiatico. L’altra città meta degli occidentali, Tokyo, andava invece perdendo importanza e le gallerie locali un tempo di fama transnazionale, come l’ottima Akira Ikeda, che tra l’altro è stata per anni la galleria di riferimento in Asia per artisti italiani come Enzo Cucchi, ha poco per volta perso attrattiva e importanza. Ma la vera crescita dell’Asia riguarda quanto è avvenuto negli ultimi anni al di fuori di Hong Kong e Tokyo. 

Quando oggi si parla di piazze asiatiche per l’arte contemporanea ci si riferisce a Shanghai, in Cina, e soprattutto a Seul, in Corea. Vi sono stati anche galleristi che si sono appoggiati ad altre città: la Galleria Continua pionieristicamente aprì addirittura nel 2005 uno spazio a Pechino e in anni recenti Sean Scully ha gestito uno spazio a Taipei poi chiuso negli anni della pandemia. Ma oggi Shanghai e Seul sono le mete ambite dai galleristi occidentali per avere una base permanente. Per fare un esempio significativo, il gallerista francese Perrotin ha aperto nel 2016 a Seul, nel 2017 a Tokyo e nel 2018 a Shanghai. Lehmann Maupin ha aperto a Seul così come Gagosian. Sprüth Magers non ha un proprio spazio ma da anni si avvale della curatrice Shi-ne Oh quale rappresentante permanente (la scorsa primavera ha organizzato nella sede di Berlino «Territory», una mostra più che interessante di cinque artisti asiatici). Anche Massimo De Carlo ha uno spazio nella capitale coreana, ubicato nel centrale quartiere di Gangnam. Aperta nel marzo 2024, sulla spinta degli ottimi risultati della partecipazione a Frieze Seoul nel 2022 e 2023, è una piccola struttura che non vuole essere una galleria tradizionale con ampie presentazioni e inaugurazioni. Si tratta piuttosto di un piccolo luogo, una viewing room dove accogliere su appuntamento collezionisti e appassionati che intendono avviare un rapporto più diretto e personale con le opere degli artisti che Massimo De Carlo desidera presentare. La presenza di De Carlo così come la partecipazione di alcune gallerie italiane a Frieze Seoul mi fa ben sperare. Mazzoleni ha confermato che dopo una prima partecipazione non indovinata, la loro seconda esperienza con la fiera è stata molto positiva, avendo scelto di presentare artisti italiani come Castellani e Nunzio vicini alla sensibilità dei collezionisti locali. Mi piace rivolgere un invito ai galleristi italiani a visitare Seul, magari in occasione di Frieze, e andare un giorno nella più prestigiosa e avveniristica galleria locale, la Kukje Gallery dotata di caffetteria, ristorante e palestra riservata ai collezionisti, per rendersi conto di come sarà il futuro. 

L’Asia occorre conoscerla, bisogna avvicinarsi con un po’ di umiltà e soprattutto con grande rispetto. Ma è il continente a cui guardare e dove spostare attenzione e risorse se si vuole avere una visione del futuro del mercato dell’arte che possa navigare attraverso la crisi e approdare al «Nuovo mondo» (che questa volta non è l’America). 

Giorgio Guglielmino, 03 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

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