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La visibilità gentile dell’artista Rama Duwaji, la nuova first lady di New York

Balzate alle cronache per la vittoria del compagno a sindaco di New York, Rama Duwaji rappresenta una generazione di creativi che attraversa confini nazionali e disciplinari

Sophie Seydoux

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Balzate alle cronache per la vittoria del compagno a sindaco di New York, Rama Duwaji rappresenta una generazione di creativi che attraversa confini nazionali e disciplinari. Con delicatezza e determinazione, costruisce un’arte che non pretende di insegnare, ma si propone come spazio di ascolto: delle radici, delle relazioni, della vulnerabilità. In un mondo mediatico dove molto è spettacolo, il suo è un invito alla presenza, alla “visibilità gentile” e alla cura. Illustratrice, animatrice e ceramista, Duwaji -nata il 30 giugno 1997 a Houston da genitori siriani- trascorre parte dell’infanzia negli Emirati Arabi Uniti, a Dubai, dove la famiglia si sposta durante gli anni formativi. Si laurea in Communication Design alla Virginia Commonwealth University (BFA, 2019) e consegue un Master of Fine Arts in Illustrative/Visual Essay presso la School of Visual Arts di New York nel 2024. Oggi vive e lavora a Brooklyn, New York. Duwaji ha sviluppato una pratica professionale che spazia dall’illustrazione digitale, all’animazione, fino alla ceramica realizzata a mano. Fra i suoi principali clienti si segnalano The New Yorker, The Washington Post, BBC, Apple, Spotify, Tate Modern e marchi come Cartier. Utilizza inoltre la ceramica come medium alternativo: piatti illustrati e workshop che combinano illustrazione e materiale ceramico sono parte della sua sperimentazione. 

Il lavoro di Duwaji indaga le sfumature della sorellanza, l’esperienza comunitaria, e l’identità della diaspora mediorientale, attraverso un linguaggio visivo che unisce intimità e consapevolezza politica. Sul suo sito, si legge che «using drawn portraiture and movement, Rama examines the nuances of sisterhood and communal experiences». Una parte significativa della sua pratica affronta temi legati al Medio Oriente: identità araba, conflitti, migrazione e le loro conseguenze umane. Ad esempio, illustrazioni commissionate per il Washington Post riguardano donne palestinesi intrappolate sotto le macerie.  La scelta della ceramica come medium rivela un ulteriore assioma della sua poetica: la creazione artigianale come atto di cura e connessione, in dialogo con la tradizione e al tempo stesso radicata nella contemporaneità. Visivamente, le opere di Duwaji si caratterizzano per un uso di forme nette, palette limitate e un equilibrio fra figurazione e astrazione. L’animazione e l’illustrazione digitale le permettono di “animare” gesti quotidiani, spazi domestici o momenti condivisi, spesso intesi come luogo di resistenza e auto-riconoscimento.

La dimensione ceramica introduce la tridimensionalità, la fisicità del gesto e dell’oggetto, come se l’illustrazione uscisse dallo schermo per diventare oggetto concreto di comunità. In un panorama globale dove le immagini sono sovrabbondanti e l’attenzione spesso fugace, Duwaji propone una forma di visibilità riflessiva: le sue immagini non urlano, ma invitano alla contemplazione, alla conversazione, alla cura. La sua voce è doppia: quella dell’artista che produce lavoro visivo e quella di una giovane donna della diaspora che attraversa mondi, linguaggi culturali e identitari. Il suo lavoro si inserisce in una tensione fra arte e attivismo, fra il personale e il politico: non come strumento di propaganda, ma come spazio di esperienza e dialogo.

 

Sophie Seydoux, 07 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

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