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Louisa Buck
Leggi i suoi articoliLa produzione di Mark Wallinger (1959, Chigwell, Essex), uno degli esponenti più originali della scena artistica inglese contemporanea, va dai meticolosi dipinti raffiguranti corse di cavalli alla prima statua pubblica di Cristo in Inghilterra dall’epoca della Riforma. Il suo interesse, in origine incentrato sulle tradizioni e sui valori britannici, a partire dagli anni Novanta si è spostato su un’analisi più ampia delle strutture del potere e delle nozioni di identità esplorate attraverso fotografie, video e installazioni, e una performance in cui si presentava vestito da orso. Wallinger sa essere al tempo stesso spiritoso e politicamente incisivo: nel 2001, quando rappresentò il suo Paese alla Biennale di Venezia, espose fuori dal Padiglione inglese la «Union Jack», la bandiera del Regno Unito, rifatta nei colori verde, bianco e arancione del tricolore della Repubblica d’Irlanda. Per il debutto da Hauser & Wirth («Mark Wallinger: ID» dal 26 febbraio al 6 maggio), l’artista mantiene fede alla sua fama di non ripetersi mai, con una mostra multimediale di opere in gran parte nuove.
La sua serie di monocromi «id Paintings» è realizzata applicando il colore direttamente sulla tela con le mani e sembra essere alla base di questa mostra. Questi dipinti hanno un qualche rapporto con la serie precedente «Self Portrait», che raffigurava la lettera «I», nera, in diversi caratteri?
Sono derivati dagli «I Paintings» in maniera organica. L’anno scorso mi sono trasferito in questo nuovo studio molto alto, illuminato dal soffitto e in modo alquanto darwiniano credo di aver pensato: «Ok, ordiniamo delle tele, portiamo la serie dei “Self Portrait I Paintings” sulla scala dell’Espressionismo astratto e vediamo che cosa succede».
Come ha scelto la dimensione delle tele?
La larghezza corrisponde al mio braccio e sono alte il doppio di me. La scorsa estate ho fatto una dozzina di opere che esploravano l’intera gamma del linguaggio pittorico e poi ho cominciato a usare le dita per dipingere. C’era in questo qualcosa di molto «basic» che mi piaceva, ma le tele erano ancora piuttosto legate agli «I Paintings», fino a quando non ne ho dipinta una usando le due mani contemporaneamente e quasi alla cieca perché stavo proprio davanti alla tela. Poi ho capito che avrei potuto ribaltare la tela e trovarmi a dialogare con essa in una sorta di doppio specchio. Ho compreso che avrei potuto lavorare con successo sulla simmetria, forse tutti noi possiamo farlo, e ho capito che facendo questo capita una cosa curiosa: se fai una versione riflessa di un segno, esso acquista un’autorità e una finalità più incisive. Ho dipinto tre opere in un giorno ed ero molto eccitato dal risultato, anche se non avevo un obiettivo particolare in mente. Poi per una settimana sono dovuto andar via, ma sono stato molto contento di tornare e ben presto le opere hanno sviluppato una vita propria: ora dipingere questi quadri è diventata quasi una dipendenza.
Anche se lei ha utilizzato qualsiasi tecnica possibile, la pittura è stata una delle sue prime passioni.
È stato interessante tornare a qualcosa che non facevo più da molto tempo, visto che di recente avevo intrapreso forse fin troppi progetti pubblici che richiedevano un lungo processo, premeditazione e collaborazione con altre persone. Trovarmi di nuovo faccia a faccia con la pittura sulla tela è stato molto liberatorio. Sono i quadri più diretti che abbia mai fatto.
Tra le altre opere in mostra ci sono «Ego», una fotografia delle sue mani in una rivisitazione della Creazione di Adamo di Michelangelo, e «Superego», una scultura girevole a specchio del simbolo di Scotland Yard. Perché ha scelto di formulare gran parte di questa mostra in termini freudiani?
Penso sia una sorta di ammissione di come sono io adesso. Nell’ultimo anno sono stato in analisi e penso di essermi confrontato con me stesso in modo diverso rispetto al passato. Sapevo che gli «id Paintings» erano una rottura rispetto alla serie degli autoritratti, che erano una specie di confronto o conciliazione col linguaggio e con il possibile significato dell’espressione o dell’autoespressione. Ho avuto un anno piuttosto turbolento e tutto è nato da questo; stare senza lavorare è stato molto importante per me, è stato come interrompere per un certo periodo una relazione.
«Ego» è un esame di coscienza?
Quell’opera è rimasta appesa nella mia cucina per un annetto. Mi piace perché riguarda una serie di cose che trovo interessanti. Suppongo che il concetto del creatore o dell’artista creativo e tutto il resto sia un punto di partenza piuttosto supponente, non crede? Ma poi penso: «Va bene, sono una mano destra e una mano sinistra, posso farlo da solo, e rappresenta un po’ i limiti dell’esistenza individuale». Spesso faccio l’esempio di quando vai dall’oculista a controllare la vista e ti fa vedere la riga più in basso e ti chiede: «Vede meglio con questa lente o con questa?». E non puoi chiamare un amico, devi affidarti ai tuoi sensi e puoi consultare solo te stesso. In un certo senso sono questi i limiti che abbiamo tutti sulla percezione del mondo esterno e a volte ti senti alienato dal tuo corpo.
«Superego», il simbolo di Scotland Yard girevole a specchio, rimanda al vedere e all’essere visto in un’epoca in cui non siamo mai stati tanto controllati, ma al tempo stesso così anonimi e spersonalizzati.
Dal punto di vista della sua fonte e della società della sorveglianza potremmo dire che si tratta di un’opera molto sagace, ma in realtà vedo questo specchio girevole in termini fisici, che riflette qualcosa al di sopra della nostra possibilità di accedervi (l’opera ruota sopra il livello degli occhi, Ndr), suggerendo orizzonti più lontani. Spero che possa trasmettere un dolore quasi fisico per qualcosa che è inaccessibile e al tempo stesso sembra esercitare un certo livello di controllo. Pensavo ai fari: sono fatti di tanti specchi e inviano la luce il più lontano possibile. In un certo qual modo qui si tratta del contrario: suggerisce qualcosa a un tempo repellente e attraente sul controllo che trova giustificazione nel fatto che la sicurezza delle persone è la prima responsabilità dei Governi.
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