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Le sofferenze della riforma

Un solo archeologo (in via di pensionamento) al Polo museale di un’isola la cui ricchezza sono l’archeologia diffusa e le piccole realtà eccentriche

Micaela Deiana

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A seguito della riforma Franceschini, dal 2015 musei, siti archeologici e luoghi di cultura nazionali presenti sul territorio sardo sono raccolti in un Polo Museale Regionale sotto la direzione di Giovanna Damiani (nella foto), per un totale di undici enti, che conta realtà più strutturate (come il Museo Archeologico, la Pinacoteca Nazionale di Cagliari e il Museo Nazionale Sanna di Sassari), centri più periferici (come il Museo Archeologico Nazionale Asproni di Nuoro o il Santuario di Monte d’Accoddi, Ss), e il Compendio Garibaldino e il Memoriale Garibaldi di Caprera, che nel suo isolamento rappresenta un caso a sé. 

La riforma ha previsto lo scollamento fra le azioni di tutela, che rimangono alle Sovrintendenze, e quelle di valorizzazione, che vengono invece affidate ai Poli museali. Se già sul principio la scelta del Ministero ha sollevato perplessità, la situazione appare drammatica quando si va a osservarne gli effetti in aree come quelle della Sardegna. L’isola soffre da tempo della difficoltà di gestire un immenso patrimonio archeologico, dislocato in tutto il territorio regionale, con condizioni di grande fragilità (fotografate chiaramente dal dossier di Emergenza Cultura degli scorsi mesi), dettate dalla cronica mancanza di fondi e dal sottodimensionamento dei funzionari, sommersi dalle pratiche per la tutela del paesaggio. Per non parlare del pericolo conservativo a cui molti siti sono esposti per la mancanza di un’adeguata manutenzione; è il caso, per esempio, della Domus de Janas de sa Pala Larga a Bonorva, che rischia di vedere sparire i motivi decorativi pittorici del Neolitico minacciati da una vicina falda acquifera. 

La separazione fra i due enti di gestione ha portato all’acuirsi di queste condizioni. Il personale del Polo è clamorosamente sotto organico e spesso mancano le adeguate specializzazioni: nonostante i numeri del patrimonio archeologico regionale, al momento il Polo ha un solo archeologo, Donatella Mureddu (nella foto), direttrice del Museo Archeologico di Cagliari ma in via di pensionamento questo mese. Se a questo aggiungiamo che solo due strutture hanno un direttore e nella maggior parte dei casi mancano anche i funzionari-curatori, appare chiaro come non ci siano le condizioni minime sufficienti perché un museo possa definirsi tale, con buona pace della Carta nazionale delle professioni museali dell’Icom. Senza considerare i problemi di budget: dei 450mila euro richiesti dal Polo lo scorso anno, il Ministero ne ha erogato 150mila.

«Nonostante le difficoltà oggettive, precisa la Damiani, il polo lavora strenuamente, grazie all’impegno e alla motivazione dei nostri professionisti, che affrontano eroicamente le attuali circostanze. Gli sforzi sono ripagati da un gran consenso di pubblico. Recentemente l’Antiquarium Turritano di Porto Torres ha ricevuto il Certificato di Eccellenza 2016 da TripAdvisor, per la qualità del servizio di accoglienza» (una struttura, aggiungiamo noi, oggi priva di direttore e tecnici, praticamente gestita dai custodi nella quotidianità, se si eccettua qualche contratto precario di collaborazione esterna). Un riconoscimento, va detto, che si aggiunge a quello ricevuto due anni fa dal Museo Archeologico di Cagliari. Nel 2014, grazie al sostegno del pubblico social, è nato infatti il progetto «Museo liquido» per ridisegnare l’identità del museo, con il riallestimento di parte della collezione permanente, la creazione di un percorso sensoriale votato all’accessibilità fisica e intellettuale, il rafforzamento dell’assetto digitale e della comunicazione web. «Si tratta di risultati, precisa con orgoglio la direttrice Mureddu, ottenuti grazie a un lavoro condiviso, alla forte motivazione del personale e alla costruzione di reti di partenariato forti con l’Università di Cagliari e altri enti di ricerca, come il CRS4 e SardegnaRicerche».

Se i risultati di questi ultimi anni sembrano quindi dovuti all’impegno e all’ingegno del personale in organico e dei collaboratori esterni (con una doverosa menzione per i tirocinanti, preziosa risorsa spesso abusata dal Ministero), sembra che il 2017 si apra con nuove risorse finanziarie. Attraverso il Piano Strategico «Grandi Progetti Beni Culturali», racconta Giovanna Damiani, il Mibact sosterrà con due milioni di euro la valorizzazione del sistema museale nazionale di Cagliari: «La Basilica di San Saturnino sarà restituita alla città e l’ex Regio Museo Archeologico sarà centrale per l’accoglienza dei visitatori della Cittadella dei Musei». Si tratta di interventi che andranno ad agire sì sui centri d’eccellenza del territorio, ma che rischiano di segnare ancora di più il divario con il patrimonio archeologico diffuso. Viene spontaneo interrogarsi sull’efficacia dell’applicare il medesimo modello gestionale su aree il cui patrimonio vive in condizioni di totale eccentricità rispetto a quelle su cui è voluto intervenire Fransceschini con la riforma (i venti musei autonomi più i recenti dieci; cfr. articolo a p. 26), e sulla necessità, piuttosto, di disegnare una più ampia e calibrata articolazione del sistema.
 

Micaela Deiana, 06 marzo 2017 | © Riproduzione riservata

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