Massimiliano Cesari
Leggi i suoi articoli«La bellezza salverà il mondo», per dirla con la celebre e abusata frase di Dostoevskij. In realtà dovremmo pensare che gli uomini avranno il difficile compito di salvare e tutelare la bellezza. Di questo sembra essere consapevole il neoeletto (in realtà riconfermato) sindaco di Lecce, Carlo Salvemini, che della «questione culturale» ha fatto uno dei punti qualificanti del suo programma. Non proprio una scelta consueta nella politica attuale, a livello tanto locale quanto nazionale.
Lecce, la «Firenze del Sud» (come la definì lo storico tedesco Ferdinand Gregorovius), è oggi una meta amatissima dal turismo internazionale, in cui però si rischia di creare un’offerta culturale proiettata solo sulla fiera effimera e massificante degli eventi, quel turismo «mordi e fuggi» lontano dai tempi lunghi che invece esigono i progetti culturali.
Le sfide che attendono l’Amministrazione anche nel campo culturale sono tante, in un momento in cui la parola d’ordine sembra essere «sostenibilità»; è difficile, vista la scarsità di mezzi economici, pensare a un’azione in grado di valorizzare il patrimonio artistico della città e capace di governare questi processi senza snaturare l’identità dei luoghi. Ma è grazie alla sua proposta culturale che Lecce è stata recentemente protagonista sulle pagine di «Le Monde».
Come pensa l’Amministrazione di rispondere a questo credito internazionale?
Non è un caso che Lecce, con il suo patrimonio storico artistico, si trovi talvolta al centro dell’attenzione della stampa estera. La città ha avuto il merito, attraverso un lungo ciclo di governo iniziato nei primi anni Novanta e non ancora interrotto, di utilizzare risorse comunitarie per recuperare i suoi beni monumentali, oggi all’ammirazione di tutti. È stata una grande operazione di recupero urbanistico architettonico e di investimento sulla memoria collettiva che ha permesso alla città di diventare più bella, facendosi conoscere e apprezzare dai visitatori. Nel 2018 abbiamo registrato circa 295mila arrivi turistici. Oggi siamo impegnati nella costruzione di una strategia coerente di gestione del nostro patrimonio storico monumentale, secondo funzioni e identità più delineate per i luoghi che lo compongono. È il salto di qualità che ci attende.
La cultura è davvero in grado di migliorare la qualità di vita dei cittadini?
Gli spaventosi indici di povertà educativa e culturale che si registrano in particolare nel Mezzogiorno interrogano le coscienze degli amministratori pubblici. A Lecce abbiamo investito su due nuove biblioteche civiche e su interventi destinati ad allargare l’offerta culturale, portandola nei quartieri. Ci siamo liberati dall’ossessione dei cosiddetti grandi eventi, per lavorare sulla cultura come strumento di inclusione sociale. I pubblici che ci interessano siamo andati a cercarli fisicamente nei luoghi «periferici».
Partendo dal caso di Lecce e del suo Barocco, come si coniuga il passato con la modernità?
Lecce non è solo barocco. Oltre al recupero delle Mura Urbiche, testimonianza della Lecce cinquecentesca, siamo al lavoro per riaffermare la centralità del Castello della città, la cui costruzione fu voluta dall’imperatore Carlo V ed è l’opera fortificata più importante della Puglia. Con il Polo Museale Regionale sono in cantiere ulteriori investimenti sui siti archeologici di epoca romana: l’Anfiteatro di Piazza Sant’Oronzo e quello della antica Rudiae, la patria di Quinto Ennio, che sorge a due chilometri dalla città, oltre al teatro di età romana di Via degli Ammirati. Ma lavoriamo anche sul contemporaneo: grazie a una virtuosa iniziativa di privati entro un anno aprirà nel centro storico la galleria della Fondazione Biscozzi-Rimbaud con un’importante collezione di opere del XX secolo. Sarà il primo museo di arte contemporanea in città.
In Italia sono ben pochi i sindaci che si occupano direttamente di politica culturale. Perché?
Non credo di essere in controtendenza. Credo che tante città del Sud stiano comprendendo l’importanza dell’investimento sulle politiche culturali, sul recupero dell’identità storica e soprattutto sulla cittadinanza culturale. Non vedo l’ora che le nostre due biblioteche civiche aprano entro la fine dell’anno, perché abbiamo bisogno di spazi pubblici nei quali tutti si sentano inclusi. Sono luoghi che servono soprattutto quei cittadini che hanno meno possibilità, perché i servizi pubblici, come quelli culturali, sono fondamentali diritti di cittadinanza.
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