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Nicoletta Biglietti
Leggi i suoi articoliNel panorama del Futurismo italiano, il nome di Cesare Andreoni è rimasto a lungo in ombra, eppure la sua opera racconta con esattezza la fase più «matura» e consapevole del movimento. Tra pittura, design, arredo e grafica, Andreoni interpretò l’idea di un’arte totale, capace di entrare nella vita quotidiana e di tradurre in forme concrete l’utopia del La ricostruzione futurista dell’universo. Dal 9 novembre al 21 dicembre 2025, LeoGalleries di Monza dedica all’artista la mostra «Cesare Andreoni futurista», a cura di Massimo Duranti e Andrea Baffoni, in collaborazione con l’Archivio Cesare Andreoni. Quindici opere, tra oli e chine, restituiscono il percorso di un protagonista del Futurismo milanese tra anni Venti e Quaranta: una stagione di modernità diffusa, in cui l’arte si confronta con la città, la tecnica, la velocità.
Ed è proprio dall’iniziale interesse per la «meccanica moderna» che Andreoni aderisce formalmente al Movimento Futurista nel 1924, in occasione del primo Congresso Futurista di Milano. Nel 1931 firma il Manifesto con gli aeropittori milanesi (Munari, Duse, Manzoni, Gambini, BOT). Le sue tele si aprono su metropoli sorvolate da aeroplani, viadotti, grattacieli e prospettive spezzate; nelle chine e negli acquerelli, il volo diventa invece metafora dello sguardo moderno, lucido, analitico e privo di nostalgia. Nel 1928 Andreoni apre a Milano la Bottega d’Arte Futurista, un laboratorio che produce oggetti d’uso, tessuti, abiti e arredi. L’esperienza, coerente con il manifesto di Balla e Depero del 1915, mette in pratica l’idea di un’arte estesa a ogni ambito della vita quotidiana. In questa dimensione “operativa” del fare – tra artigianato, progettazione e estetica – si riconosce uno dei contributi più originali dell’artista al linguaggio futurista.
Negli anni Trenta Andreoni è presente alle Biennali di Venezia dal 1930 al 1940 e alle Quadriennali di Roma (1935, 1939, 1943), oltre a diverse collettive nazionali e internazionali. Il suo lavoro riflette la volontà di portare la pittura oltre i confini del quadro, dialogando con architettura, scenografia, grafica e comunicazione visiva. Questa apertura verso la dimensione pubblica lo colloca tra gli interpreti più versatili del Futurismo di seconda generazione. Negli stessi anni Andreoni collabora con Enrico Prampolini a progetti di scenotecnica teatrale, decorazione architettonica e grafica editoriale. La sua pittura, pur radicata nel Futurismo, evolve verso una sintesi più astratta, dove la forma si riduce all’essenziale e la velocità si traduce in ritmo visivo. Nei lavori del dopoguerra emerge un equilibrio nuovo tra figurazione e astrazione, esito di una ricerca personale e coerente anche dopo la fine del movimento.
Come sottolinea Massimo Duranti nel testo critico che accompagna la mostra, Andreoni rappresenta il caso esemplare di un Futurismo milanese consapevole e operativo, capace di tradurre l’ideale di «arte-vita» in prassi quotidiana. Dalla pittura all’arredo, dal manifesto all’allestimento teatrale, la sua opera costruisce un’immagine del moderno in cui il gesto artistico e quello progettuale coincidono. Pur rimasto per decenni ai margini della «grande narrazione» del Futurismo, Cesare Andreoni rappresenta oggi una figura di rilievo per la sua capacità di fondere linguaggi diversi – pittura, design, scenografia – in un’unica visione del moderno. Artista eclettico, attinse ai grandi maestri dell’avanguardia per rielaborarne i principi in chiave personale, costruendo un vocabolario visivo autonomo, in cui l’energia futurista si traduce in misura, ritmo e sintesi. La mostra di Monza restituisce così la fisionomia di un autore che, con discrezione e rigore, ha saputo incarnare l’idea di un’arte integrale: vitale, quotidiana e sempre in movimento.
Cesare Andreoni, «Bozzetto per la metropoli», 1928.
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