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Arianna Antoniutti
Leggi i suoi articoliNella mostra «Guido Reni a Roma. Il Sacro e la Natura», alla Galleria Borghese nel 2022, venne esposto lo Stendardo della Confraternita delle Sacre Stimmate, un unicum nella produzione del Divino Guido. Si tratta di uno stendardo processionale dipinto su entrambe le facce commissionato nel 1610 a Reni dalla Confraternita delle Sacre Stimmate di San Francesco di Campagnano Romano. Sul lato principale è raffigurato san Francesco che riceve le stimmate, sul retro il santo è rappresentato in piedi tra i membri della Confraternita. Fino al 1960 lo stendardo è appartenuto agli eredi della famiglia Chigi, per giungere poi nelle collezioni capitoline. Concesso in prestito alla mostra dal Museo di Roma di Palazzo Braschi, dove era conservato nei depositi, fu danneggiato da una visitatrice che, inciampando, provocò una lacerazione di circa quattro centimetri.
I curatori della Sovrintendenza Capitolina apposero velinature di protezione perché la tela potesse rimanere in esposizione fino al termine della mostra. In seguito è stata sottoposta a un intervento di risarcimento della sola parte danneggiata presso l’Istituto Centrale per il Restauro (Icr). Ora la Sovrintendenza Capitolina, grazie al mecenatismo dello Studio Legale Carbonetti e Associati, può avviare un intervento di restauro completo dello stendardo, particolarmente delicato per il precario stato conservativo e per la sua natura di opera mobile. A realizzarlo saranno Antonio Iaccarino Idelson e Daniela di Benedetto (Equilibrarte srl) sotto la direzione di Fabio Benedettucci, curatore del Museo di Roma, con la collaborazione di Federico De Martino e Alessandra Zampa. Iaccarino Idelson ha sviluppato innovative tecniche di tensionamento elastico che sono le più indicate per la corretta conservazione ed esposizione dello stendardo.
«È un’opera dalla grande qualità pittorica, caratterizzata da strati preparatori piuttosto spessi che fanno pensare a un normale dipinto più che a uno stendardo. Le condizioni della tela, che era stata restaurata l’ultima volta quasi vent’anni fa, spiega, ci raccontano la sua fragile vita materiale. Fissata lungo il margine superiore a un’asta orizzontale, durante le processioni fluttuava liberamente nell’aria, come una vela che sospinge la barca dei fedeli. È una metafora calzante che rende l’idea di come il vento la muovesse, sollecitandola e sollevandola. Ciò ha comportato la perdita della parte superiore e provocato numerosissime lacerazioni. Abbiamo riscontrato una grande quantità di tagli che, sommandoli complessivamente, superano i due metri di lunghezza, per un’opera che ne misura due metri e trenta: è davvero molto danneggiata. Nel corso del tempo è sempre stata restaurata, o meglio, riparata, ma senza mai affrontare il problema con una visione complessiva. Si è perciò deciso di smontare i restauri strutturali precedenti riaprendo tutte le lacerazioni, in modo da ricongiungere il tessuto nel modo più corretto possibile, andando a eliminare le attuali deformazioni dovute ad accostamenti approssimativi. Abbiamo creato un modellino con materiali simili allo stendardo originale, ed effettueremo prove per portarlo a rottura con una macchina che misura forza e allungamento. In questo modo identificheremo la forza necessaria per tenere insieme i lembi senza rischiare che una nuova rottura possa essere dannosa per il tessuto».
A fine restauro lo stendardo sarà esposto per la prima volta al pubblico. Come? «L’opera, sulla quale stiamo intervenendo nel laboratorio di Palazzo Braschi, sarà esposta con visibilità fronte-retro al centro della sala più vasta al secondo piano, come concordato con la direttrice Ilaria Miarelli Mariani. Anziché sostenerlo con ingombranti picche laterali e un basamento, abbiamo deciso di appenderlo al soffitto con sottili cavi in acciaio. Lo accoglierà un telaio con molle estremamente morbide che possano accompagnare e assecondare i suoi movimenti naturali, siano essi dovuti alle variazioni del microclima o ai movimenti d’aria. È un sistema di tensionamento elastico messo in pratica nel 1954 da Roberto Carità all’Icr sul “San Girolamo scrivente” di Caravaggio. Poi, si perse memoria di questa tecnica da me studiata e perfezionata negli anni Novanta, quando ero allievo dell’Icr. La impiegai per la prima volta su una piccola tela di De Nittis ma, a differenza di quanto aveva fatto Carità, non montai le molle su un nuovo telaio, bensì su quello originale. Dopo un’attenta messa a punto con Equilibrarte, la tecnica è stata poi utilizzata in tutto il mondo su molte opere di grande formato e con problemi conservativi complessi. Alcuni esempi recenti sono “La Ronda di notte” di Rembrandt del Rijksmuseum di Amsterdam, un grande Fragonard a soffitto e un Tiepolo del Louvre. Anche opere d’arte contemporanea, come un trittico di Miró a New York e un grande dipinto a perimetro mistilineo di Frank Stella a Santiago del Cile. È ormai una metodologia consolidata che consente al dipinto di “respirare”, senza chiodi e vincoli fissi, mai troppo sollecitato. Come si diceva al Museo di Salvador Allende: i dipinti liberi sono dipinti felici».
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