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«Senza titolo» (1920), di Adolf Wölfli (particolare). © Collezione Bruno Decharme

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«Senza titolo» (1920), di Adolf Wölfli (particolare). © Collezione Bruno Decharme

L’Art Brut a Villa Medici

180 opere dalla collezione di Bruno Decharme realizzate da malati mentali, detenuti, emarginati

Silvano Manganaro

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Dal primo marzo al 19 maggio l’Accademia di Francia-Villa Medici ospita la mostra «Epopee celesti. Art Brut nella collezione Decharme», che raccoglie 180 opere collezionate da Bruno Decharme, regista francese che dalla metà degli anni ’70 è rimasto folgorato da quella che gli inglesi chiamano «Outsider art», arrivando a riunire il lavoro di oltre 400 autori dal XVIII secolo ai giorni nostri. L’interesse di Decharme per questo tipo di arte, che è entrata con forza nel dibattito artistico internazionale grazie a Jean Dubuffet, ha trovato una sua concretizzazione nel 1999 con la fondazione dell’associazione abcd (art brut connaissance & diffusion) diretta da Barbara Safarova che, negli anni, ha realizzato mostre, prodotto film e pubblicato libri.

Un’esposizione dedicata all’Art brut, ovvero a lavori realizzati da malati mentali, detenuti, emarginati o, in generale, persone «fuori dal sistema», ancora oggi suscita controversie. Nonostante in Italia ci sia sempre stata un’attenzione dedicata a questo tema, si pensi agli studi dell’arte «pazzesca» di Cesare Lombroso, all’interesse per i laboratori creativi a seguito della legge 180 del 1978, fino al più recente «Palazzo enciclopedico» della Biennale di Venezia del 2014 in cui Massimiliano Gioni metteva assieme artisti consacrati e outsider, «Epopee celesti» ha il merito di fornire un panorama molto variegato sul tema.

Oltre alle opere del più celebre esponente dell’Art brut, ovvero Adolf Wölfli (personaggio che trascorse 35 anni in manicomio e che suscitò l’attenzione prima di Freud e di Breton e poi, naturalmente, di Dubuffet), è possibile vedere lavori di Aloïse Corbaz (anche lei entrata fin da subito nel museo di Losanna), Henry Darger, Ramón Losa, Lázaro Antonio Martínez Durán, Alexander Lobanov e molti altri. Se il rischio paventato qualche anno fa dal filosofo Mario Perniola di una svolta «fringe» dell’arte contemporanea è sempre presente, una mostra come quella di Villa Medici ci conferma però che l’Art brut può riconnetterci con l’essenza stessa del fare arte e il suo stato di «necessità».

A cornice della mostra, tra gli altri eventi organizzati dall’Accademia di Francia, è possibile ammirare (solo su appuntamento) il dipinto «Le Citron» di Édouard Manet allestito nella camera da letto del cardinale Ferdinando de’ Medici e cinque opere del pittore torinese Guglielmo Castelli che, all’interno del ciclo Art Club curato da Pier Paolo Pancotto, si confronterà con gli spazi dell’Atelier Balthus, dello Studiolo di Ferdinando de’ Medici e della gipsoteca.

«Senza titolo» (1920), di Adolf Wölfli (particolare). © Collezione Bruno Decharme

Silvano Manganaro, 28 febbraio 2024 | © Riproduzione riservata

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L’Art Brut a Villa Medici | Silvano Manganaro

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