«La corte di Lodovico il Moro» (1823) di Giuseppe Diotti, Lodi, Museo Civico

© Mauro Ranzani

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«La corte di Lodovico il Moro» (1823) di Giuseppe Diotti, Lodi, Museo Civico

© Mauro Ranzani

Milano: sei secoli di melting pot

Oltre 140 opere tra dipinti, marmi, manoscritti, disegni e sculture documentano alle Gallerie d’Italia l’apporto che gli artisti «stranieri» (da Leonardo a Tiepolo, da Sironi a Fontana) diedero alla cultura visiva meneghina

Milano città dell’inclusione, da tempo immemorabile: «Città inclusiva sul fronte sociale ed economico. E questa inclusività, spiega a “Il Giornale dell’Arte” Fernando Mazzocca, cocuratore, con Marco Carminati, Alessandro Morandotti e Paola Zatti, della mostra delle Gallerie d’Italia, alimentata anche da committenti e collezionisti lungimiranti, si è sempre riflessa sul versante dell’arte. Noi abbiamo individuato i dieci momenti a nostro avviso più significativi di una storia plurisecolare, dal Medioevo, quando furono maestranze tedesche ad avviare il cantiere del Duomo, fino al ’900, quando un aggiornato sistema di gallerie ed esposizioni attraeva tanti artisti internazionali, tenendo però costantemente il cantiere del Duomo come bussola. Tanto che il percorso si chiude con il bozzetto di Lucio Fontana per la sua Quinta porta».

La mostra «Il genio di Milano. Crocevia delle arti dalla Fabbrica del Duomo al ’900», alle Gallerie d’Italia di Milano dal 23 novembre al 16 marzo 2025, realizzata in partnership con la Veneranda Biblioteca Ambrosiana, riunisce oltre 140 opere tra dipinti, marmi, manoscritti, disegni e sculture, prestati da musei italiani e internazionali per illustrare l’apporto che gli artisti stranieri diedero alla cultura visiva milanese. 

Il percorso si apre nel 1386, quando Gian Galeazzo Visconti decise di erigere la nuova cattedrale, chiamando maestranze d’Oltralpe forti delle competenze maturate nei grandi cantieri europei: in mostra, le sculture per i pinnacoli e le fiancate e alcune splendide vetrate. Il secondo episodio non poteva che guardare a Leonardo da Vinci, «forestiero» anche lui, giunto nel 1482 da Firenze alla corte degli Sforza, che lo accolsero con ogni onore. Lui li ricambiò facendo di Milano un laboratorio di innovazioni urbanistiche e artistiche. Vitale, qui, l’apporto della Veneranda Biblioteca Ambrosiana, da cui giunge la gran parte dei suoi disegni, esposti con i dipinti dei più stretti seguaci. E fu proprio il fondatore dell’Ambrosiana, il cardinale Federico Borromeo (1564-1631), raffinato e vorace collezionista, a portare in città le novità della pittura fiamminga, con i nuovi generi del paesaggio e della natura morta, che tanta fortuna avrebbero poi conosciuto anche in Italia. Il quarto momento è quello che vede l’arrivo a Milano, tra l’ultimo Seicento e gli anni ’30 e ’40 del Settecento, dei veneti («foresti» anche loro) Sebastiano Ricci e Giambattista Tiepolo: Venezia, con i suoi maestri, era allora un faro della pittura nell’Europa intera e questi suoi artisti, arrivati a Milano, aprirono nuovi orizzonti nella pittura mitologica e in quella sacra. «La lezione degli artisti stranieri modifica sempre lo scenario artistico locale», puntualizza Mazzocca, introducendo l’età teresiana e quella napoleonica, quando Giuseppe Piermarini fa della città una capitale del Neoclassicismo grazie alla corte asburgica e a committenti come i Belgiojoso. «Ancora una volta torna il Duomo, di cui in età napoleonica un viennese, Leopoldo Pollack, progettò l’attuale facciata, continua. Per la stagione romantica sono in mostra figure come Pelagio Palagi, Francesco Hayez, Massimo d’Azeglio e altri, richiamati a Milano dalle opportunità offerte da una città che era ormai una capitale letteraria, musicale, artistica. Dopo l’Unità, ecco che Milano, diventata “capitale morale” per il suo sviluppo sociale ed economico, è di nuovo un polo d’attrazione per gli artisti più innovativi». Che erano allora i divisionisti (Segantini, Previati, Pellizza, Morbelli) «padri» del primo, rivoltoso Futurismo del geniale Umberto Boccioni. A portare in città le novità del «Ritorno all’ordine», dopo la Grande guerra, sarà la colta veneziana Margherita Sarfatti, che riunì figure grandiose come Mario Sironi, Arturo Martini, Achille Funi e altri, mentre l’ultima sezione è dedicata allo scultore Adolfo Wildt e ai suoi allievi all’Accademia di Brera, Fausto Melotti e Lucio Fontana. È il suo «Ambiente nero» a chiudere la mostra, insieme al bozzetto (non realizzato: gli si preferì Luciano Minguzzi) per la Quinta porta del Duomo.

«Pianta della città di Milano e veduta a volo d’uccello» (1507-10) di Leonardo da Vinci, Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Pinacoteca (Codice Atlantico). © Veneranda Biblioteca Ambrosiana/Mondadori Portfolio

«Meriggio. Officine a Porta Romana» (1910) di Umberto Boccioni, Collezione Intesa Sanpaolo, Gallerie d’Italia-Milano. © Archivio Patrimonio Artistico Intesa Sanpaolo. Foto: Paolo Vandrasch, Milano

Ada Masoero, 22 novembre 2024 | © Riproduzione riservata

Milano: sei secoli di melting pot | Ada Masoero

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