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Melanie Gerlis
Leggi i suoi articoliIl collezionismo continua a preferire la storia (da Bacon a Jim Dine), ma tra gli stand della fiera più glamour s’insinua la politica
La 14ma edizione di Art Basel Miami, svoltasi da 3 al 6 dicembre, ha confermato che l’attuale tendenza del collezionismo è privilegiare opere di artisti storicizzati, di prima e di seconda fila. Uno dei botti, in tal senso, è stata la vendita di «Man in Blue IV» (1954) di Francis Bacon a 9 milioni di euro da Van de Weghe di New York. Sylvester Stallone, con Leonardo Di Caprio una delle stelle hollywoodiane più assidue delle fiere d’arte contemporanea, ha invece puntato sulla scultura «Love» di Robert Indiana, offerta a 1,4 milioni di euro da Gmurzynska, il cui stand, celebrativo del cinquantesimo compleanno della galleria tedesca, era curato da Germano Celant.
Richard Gray di Chicago e New York piazzava a 250mila dollari un dipinto recente di Jim Dine e a 273mila euro un disegno cubista di Picasso, ma anche, a 1,8 milioni di euro, un piccolo dipinto di Christopher Wool.
Ancora sul versante storicizzato, si segnala la vendita a 2,4 milioni di euro di un quadro di Frank Stella del 1965, nel pieno del periodo minimalista, ceduto da Dominique Levy; dello stesso autore, Sperone Westwater di New York vendeva una più recente tecnica mista in alluminio a 547mila euro. La Pace Gallery, nelle prime ore della Vip preview, trovava diversi acquirenti per le opere di Louise Nevelson che, nel suo stand, esibivano cartellini da 70mila a un 900mila euro.
Quando si parla di artisti storicizzati in fase di grande rilancio, un ruolo di primo piano lo giocano le gallerie italiane. Se per molti collezionisti stranieri l’opera di Gianni Colombo, rappresentata in grande stile da Robilant+Voena nella sezione «Surbey» ha rappresentato una piacevole sorpresa, non mancavano acquirenti per Paolo Scheggi, del quale Tornabuoni vendeva «Zone riflesse», una tela del 1964, a 273mila euro, mentre un recente Pistoletto, «Vortice-trittico» figurava, a 400mila euro, tra le vendite della Galleria Continua. Un «Senza titolo» del 1992 di Ettore Spalletti garantiva invece 130mila euro a Vistamare di Pescara.
Un cambiamento epocale per una fiera glamour come Art Basel Miami Beach è stato rappresento dalla presenza dell’attualità politica. Con le misure di sicurezza implementate dentro e intorno alla fiera, del resto, i visitatori di Art Basel Miami Beach facevano fatica a ignorare l’attuale clima di incertezza politica. L’effetto era evidente anche all’interno, dove diverse opere facevano capire come una fiera d’arte internazionale, persino in una città festaiola come Miami, non può più essere quella bolla isolata a cui eravamo abituati.
Galleristi anticapitalisti
«Sembra improvvisamente opportuno presentare opere con un messaggio politico», osservava il gallerista newyorkese Andrew Kreps che portava, tra le altre opere, la bella installazione luminosa di Hito Steyerl «The War According to eBay» (2010, 77mila euro), che indaga il tema della guerra diventata un bene di consumo. Il tema della migrazione la faceva da padrone. Kreps presentava anche «Church Banners, Adalberto United Methodist Church, Chicago, Member of New Sanctuary Movement» di Adrea Bowers (2007-08, 41mila euro), incentrata sulla questione degli immigranti negli Stati Uniti. Un’opera dello stesso artista sul medesimo tema si trovava anche da Kaufmann Repetto, di Milano e New York, con il titolo «22% of deportations involve parents of US citizens» (2014, 38mila euro).Elizabeth Dee di New York presentava una selezione di inquietanti dipinti di Miriam Cahn raffiguranti rifugiati (13mila-27mila euro). Nello stand di un altro newyorkese, Alexander Gray, interamente dedicato all’artista di Dubai Hassan Sharif (prezzi da 18mila a 180mila euro), un’installazione di scarpe realizzate in serie richiamava il movimento delle persone che non hanno una patria.
Roupen Kalfayan presentava una personale di Adrian Paci, con un progetto, tra gli altri, che spiega come i migranti albanesi abbiano cambiato i loro nomi quando sono andati in Grecia dopo la caduta del comunismo («Names», 2015, 13.600-32mila euro).
Altri temi affrontati in fiera erano la sessualità, l’appartenenza etnica, il cambiamento climatico, la religione e le diseguaglianze. Alla Goodman Gallery, di New York «Temene» di Kendell Geers (2007, 82mila euro) utilizzava dei neon per raffigurare la bancarotta spirituale della società globale. Da Alan Cristea di Londra, «Minotaur 1-6» (2015, edizione di 20 esemplari, 12.600 euro) una serie di stampe dell’artista londinese Gordon Cheung affrontava il tema degli eccessi del capitalismo europeo. Henrique Faria di New York proponeva «List of countries by GDP 2010 (Nominal)» (2014, 36.400 euro) del messicano Emilio Chapela, dedicata all’iniqua distribuzione della ricchezza.
Ma Miami è sempre Miami e molte opere «serie» restano di facile comprensione: lo stand della berlinese Neugerriemschneider comprendeva pezzi importanti dell’artista e attivista cinese Ai Weiwei e dell’ecologico Olafur Eliasson. Da Magazzino di Roma, «United Nothing» (2015, edizione di tre esemplari, 15.400 euro circa, uno venduto) di Vedovamazzei, un ingrandimento di Sarajevo degli anni Novanta, mostrava il modo in cui il duo «tratta la politica, ma con leggerezza», spiegava Gabriele Gaspari dello staff della galleria.
In mostra, beninteso, non mancavano sfarzo e ostentazione, come nel caso di Kim Gordon alla 303 Gallery e Chris Martin da Anton Kern di New York. In linea di massima, tuttavia, i mercanti hanno proposto arte più sobria del solito, forse anche a testimoniare un mercato che non crede più possibile voltare le spalle a ciò che succede nel mondo.
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