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Andrea Tinterri
Leggi i suoi articoliDalle stanze della propria abitazione, cariche di ricordi e archivi fotografici vernacolari, alla campagna della Maremma di bambine cinghiali e uomini lupo, per guardare verso il cielo nella speranza di una fuga o nell’apparizione salvifica di qualche creatura aliena o semplicemente di un Goldrake gigante che possa proteggerci dalle nostre paure e debolezze.
Questa, in estrema sintesi, è la geografia visiva e immaginifica della ricerca degli ultimi trent’anni di Moira Ricci. Una pratica in cui la fotografia funge da racconto ma quasi sempre indipendente dal reale. La sua progettualità sprofonda nell’archivio iconografico famigliare riscrivendo o manipolando la propria biografia e quella del proprio territorio. Come nel progetto Loc.Collecchio, 26 (2001) in cui ricostruisce, con cura artigianale, le stanze della sua prima abitazione. Una sorta di piccolo diorama dove inserisce le fotografie che la vedono protagonista di quella fanciullezza perduta, piccole scatole dei ricordi dove il suo volto e il suo corpo da bambina si ripetono con ossessiva costanza, riempiendo lo spazio di apparizioni nostalgiche. Alle fotografie di queste minuziose ricostruzioni viene affiancato un video che esplora la superficie del diorama evocando la voce stessa dell’artista e quella di famigliari a lei vicini. Perché la fotografia spesso non basta, Moira Ricci mescola linguaggi e pratiche diverse, scultura, video, esperienze performative. Ma rimane costante la biografia dell’artista che si fa spazio di ricerca; nulla di inutilmente autoreferenziale ma strumento di comprensione del proprio tempo e possibilità immaginifica.

Nell’articolato progetto Dove il cielo è più vicino (2014 – 2023), l’artista esplora la campagna della Maremma, luogo a lei famigliare, dove affondano le sue origini. Anche in questo caso la fotografia chiede ausilio al video e alla performance, creando una lunga epopea divisa per capitoli. L’inarrestabile sparizione della cultura contadina è l’asse portante della narrazione, ma l’immagine non concede nessuna deviazione nostalgica alla storia. La sua è un’invocazione, una richiesta d’aiuto ad una presenza altra, forse aliena, capace di annullare la distanza tra la terrae il cielo. Quindi alle case semi abbandonate sparse nei poderi della Maremma vengono cancellatein postproduzione le finestre, diventando luoghi muti e inespressivi. I ritratti dei contadini, sopravvissuti alla contemporaneità, guardano verso il cielo in attesa di un’apparizione e intanto, a terra,l’artista invocail Diavolo Mietitore con cerchi di fuoco nel grano estivo. Inizia una lenta preghiera, un sincretismo culturale e religioso che si conclude nella trasformazione di una mietitrebbiatrice in astronave, un rito salvifico collettivo, una straordinaria illusione utile al sogno.

E l’illusione è una costanteche percorre la ricerca di Moira Ricci e ancora una volta l’archivio fotografico famigliare diventa funzionale al processo di ricerca. È del 2004 il lavoro 20.12.53 - 10.08.04 in cui, dopo l’improvvisa e prematura morte della madre, l’artista cerca un ultimo ed effimero contatto, un dialogo impossibile, una risposta improbabile. Moira Ricci seleziona una serie di fotografie che ritraggono la madre sola o circondata da parenti o amici, aggiungendo un proprio ritratto, la propria presenza.È la speranza o, appunto, l’illusione di un ultimo disperato abbraccio. L’artista manipola la storia concedendole un’alternativa possibilità. E un anomalo filo rosso tiene insieme questo progetto all’installazione ambientale Totem (2021), una scultura dell’altezza di cinque metri che ritrae il pugno chiuso di Goldrake uscire da una collina della campagna maremmana. La stessa illusoria presenza, un contattoinvocato per chiedere protezione, un corpo famigliare o ultraterreno, poco cambia.La realtà non ci basta e forse è troppo meschina perché rimanga la sola condizione possibile.

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