Luca Beatrice
Leggi i suoi articoliSoprattutto in Italia esiste uno sport non ancora iscritto alle competizioni olimpiche ma che, di questo passo, presto lo sarà: la stroncatura preventiva. Certo, diverte ancora molto il famoso detto attribuito a Vanni Scheiwiller «non l’ho letto e non mi piace», però la deontologia professionale vorrebbe che tutto ciò che si intende recensire si abbia l’accortezza di vederlo, leggerlo o sentirlo (se si tratta di musica). Questo è accaduto, in maniera addirittura parossistica, per la mostra «Il Tempo del Futurismo» aperta il 3 dicembre alla Galleria Nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma (fino al 28 febbraio), oggetto di discussioni e demolizioni in anticipo da buona parte degli organi di stampa, ospitate persino in questo autorevole giornale.
Ripercorrere le tappe di tale stroncatura, di cui peraltro la critica si è vantata, che ne affondava le ragioni soltanto su questioni di natura ideologica, a questo punto risulterebbe davvero inutile. Inaugurata la mostra, chiunque abbia un po’ di onestà intellettuale e ne ha parlato male anzitempo si è dovuto ricredere e fare pubblica ammenda anche se ancora in troppi hanno preferito fare finta di niente. La mostra è ricca, interessantissima, vivace e, soprattutto, ci dice ancora una volta che il Futurismo è vivo e presente, resta cioè il più importante movimento d’avanguardia del primo Novecento in Europa. Altrove costruirebbero monumenti, da noi se ne discute ancora la legittimità in chiave politica, ignorando tutto ciò che dal Futurismo è derivato. Meno male che il paziente curatore Gabriele Simongini ha tirato dritto per la sua strada, forse tappandosi le orecchie. Il risultato è davvero buono, la stroncatura preventiva non ha funzionato e, visto che ci siamo per non confondere chi per bene lo è veramente rispetto a chi non lo è, onore a Gennaro Sangiuliano che la mostra l’ha voluta e difesa finché gli è stato consentito farlo.
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