Mariella Rossi
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Negli ultimi anni la lunga ricerca internazionale di Nane Zavagno (San Giorgio della Richinvelda, Pn, 1932) è stata più volte al centro di ampie rassegne, un’attenzione che prosegue e sfocia quest’anno nell’avvio della preparazione del catalogo ragionato delle sue opere. Tanti anche gli appuntamenti espositivi, come quello che lo vede protagonista a settembre con i suoi disegni da Copetti Antiquari in via della Prefettura a Udine. Tutta la storia artistica di Zavagno è accompagnata dalla passione e dalla pratica del disegno, come documenta la produzione di serie elaborate con la china, i pastelli, gli acrilici e il graffiato, tecniche che la mostra da Copetti mette tutte in risalto. Per Nane Zavagno il disegno ha una precisa autonomia, senza mai costituire una produzione a margine di quella pittorica o scultorea. Anche quando recupera forme già esplorate in pittura, nel disegno assumono sviluppi nuovi e indipendenti. Il suo gesto è intuitivo e istintivo e la predilezione è per la china, liquida e veloce, piuttosto che per la matita, più lenta e meditativa, meno adatta a cogliere l’attimo e ad avere una presa diretta sull’immaginazione. Per chi vuole vedere le sculture di Zavagno di grandi dimensioni, en plein air, per tutta l’estate fino a ottobre, il Parco di sculture Braida Copetti ospita alcuni suoi pezzi scultorei di rilievo nella magnifica cornice creata dalla famiglia Copetti a Leproso di Premariacco in provincia di Udine.
Infine, dallo scorso anno, un percorso permanente su prenotazione allestito nello Studio Zavagno offre un excursus nella produzione di questo poliedrico artista, con pezzi per la maggior parte inediti, dalle pitture degli anni Cinquanta e Sessanta, agli allumini e ai mosaici, fino agli ultimi lavori prodotti dall’artista e agli acrilici più recenti. Lo Studio Zavagno è uno spazio di oltre 450 metri quadrati a Spilimbergo.
In questa città, Nane Zavagno inizia come mosaicista grazie agli studi svolti nella locale Scuola Mosaicisti del Friuli, dove assume presto il ruolo di insegnante e sviluppa da subito la sua personale ricerca artistica, definita da molti critici, fra cui Enrico Crispolti, «inesausta». Questa definizione gli deriva dal fatto che Zavagno si confronta con l’utilizzo di diversi materiali: dalle tessere per mosaico ai sassi del fiume Tagliamento, grazie ai quali con un intervento innovativo e unico dà vita ai suoi noti rosoni bianchi.
Sviluppa negli anni Sessanta l’elaborazione di opere in lame di alluminio, alle quali dà andamenti curvilinei che creano forme diverse in dialogo con la luce. Nella scultura la sua ricerca arriva all’elaborazione delle «Reti», realizzate con reti metalliche industriali. «Queste, dice Crispolti, raggiungono il massimo risultato scultoreo e s’inseriscono in ogni contesto dialogando, grazie alla loro trasparenza, con tutto l’ambiente che le circonda». Costante è il lavoro nella pittura, con uno studio multiforme che arriva fino alle ultime opere, ancora poco conosciute, dette «poligonali», tele che esprimono una raffinata ricerca geometrica.
Zavagno non è solo protagonista dell’arte della regione, ma sin dagli anni Sessanta ha ottenuto riconoscimenti nazionali e internazionali. Nel 1962 i suoi lavori venivano segnalati dalla «Revue Moderne» ed esposti al Grand Palais di Parigi, accanto a quelli di Hugo Demarco, Julio Le Parc, Jesús-Rafael Soto, Victor Vasarely. Nel 1982 è tra gli artisti invitati all’Espace Cardin, sempre nella capitale francese. Copertine gli sono state dedicate da «Esso Rivista», che pubblica in sequenza anche le opere di Giovanni D’Agostino, Achille Perilli, e Mario Radice.
Nel 2023 il Comune di Spilimbergo gli ha dedicato una grande mostra, e ha collocato le sue sculture nel centro storico della città e le opere pittoriche e musive nei palazzi storici della Loggia, Palazzo Tadea e nella Palazzina del centro della Scuola di Mosaico. Lo scorso settembre era stata inoltre inaugurata un’antologica a Cividale del Friuli, nel Monastero delle Orsoline: nelle 13 celle erano ripercorsi settant’anni di attività, nel centro della città, invece, erano collocate e sapientemente illuminate le grandi opere in rete.
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