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«La Caccia di Diana» di Domenichino prima del restauro

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«La Caccia di Diana» di Domenichino prima del restauro

Nella Galleria Borghese come in una bottega di restauro dell’Ottocento

Il museo romano ha colto l’occasione della parziale chiusura della Pinacoteca per intervenire su tre grandi tele (di Domenichino, Ortolano e Lanfranco) difficilmente trasportabili

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Arianna Antoniutti

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Alla Galleria Borghese, sotto lo sguardo della ninfa della «Caccia di Diana» del Domenichino (uno degli sguardi più seducenti e ammalianti della storia dell’arte), sono in corso importanti interventi di restauro. Sono lavori, nell’ambito del Pnrr, per l’efficientamento energetico, che comprendono il rinnovamento dei serramenti, un nuovo impianto di illuminazione e una nuova tappezzeria. Il museo di Porta Pinciana rimane aperto al pubblico, solo alcune sale della Pinacoteca sono al momento chiuse e cinquanta dei suoi principali capolavori sono esposti, fino al 28 luglio, a Palazzo Barberini. Sempre nell’ambito del Pnrr si lavora anche all’accessibilità culturale, per nuove didascalie e percorsi virtuali.

Parallelamente, un cantiere più silenzioso è attivo proprio nelle sale della Pinacoteca, dove i restauratori della Galleria Borghese, approfittando della parziale chiusura, hanno potuto dedicare le proprie attenzioni a tre grandi tele: la già citata «Caccia di Diana» (1616), «Orco, Norandino e Lucina» di Giovanni Lanfranco (1619-1621) e il «Compianto sul Cristo morto» (1515-1520) di Giovanni Battista Benvenuti detto Ortolano.

Dice Francesca Cappelletti, direttrice del museo: «Abbiamo ottimizzato i tempi, facendo coincidere la chiusura parziale e temporanea di alcune sale, con il restauro di tre opere che, per le loro grandi dimensioni, non solo non possono lasciare facilmente il museo, ma sono difficili anche da trasportare nel nostro deposito. Mentre il restauro dell’Ortolano è ancora in corso, stiamo per completare l’intervento sul Domenichino - spostato, dalla sua abituale sala 19, nella 20 - e del Lanfranco, restaurato invece nella medesima sala 19 dove è esposto. Le restauratrici hanno creato, in questi ambienti, ciò che appare come una bottega di restauro ottocentesca. Sembra davvero, vedendole al lavoro, di entrare in un altro secolo. Ci siamo dapprima concentrati sulle tele di Domenichino e di Lanfranco, per una comunanza stilistica (bolognese ed emiliana) e cronologica. Come ogni restauro, oltre al lavoro sulla pellicola pittorica e sul supporto, è stata l’occasione anche per un’indagine sulle tecniche di esecuzione».

È Barbara Provinciali, restauratrice responsabile del progetto, a illustrarcene ragioni e finalità: «Entrambe le opere vengono da restauri precedenti, risalenti agli anni Novanta, in occasione della riapertura del museo, e presentavano problematiche differenti. Sul Lanfranco stiamo lavorando prevalentemente sulla sola superficie pittorica, per Domenichino invece, sul rinforzo del supporto. Mentre l’intervento su Domenichino non è invecchiato dal punto di vista dei materiali utilizzati, quello su Lanfranco risultava, anche per il peggiore stato di conservazione, abbastanza alterato. La “Caccia di Diana” presenta una foderatura dell’Ottocento che, giustamente, in passato è sempre stata conservata e della quale, negli anni Novanta, erano stati rinforzati i margini. Ora abbiamo rimosso questo rinforzo e ne abbiamo eseguito uno nuovo. Una volta effettuata pulitura e disinfezione della tela sul retro, si è passati alla pulitura del dipinto, rimuovendo i depositi coerenti grassi al di sopra della verniciatura. Più che un restauro, come si intende nel senso comune, possiamo definirlo una straordinaria manutenzione.

Sulla tela con “Orco, Norandino e Lucina“, invece, il lavoro è più complesso. Ciò che risultava già all’osservazione dell’opera, è la discontinuità della superficie pittorica, generata dalle numerosissime lacune presenti, stuccate e ritoccate negli anni Novanta. Ci trovavamo di fronte a un generale viraggio della cromia del dipinto, legato sia ai prodotti consolidanti utilizzati in precedenza, che alla vernice ormai alterata. Era l’esito di restauri ormai datati dal punto di vista dei materiali che, in quegli anni, erano molto meno stabili alla luce. Abbiamo deciso di non toccare il supporto, situazione anch’essa molto complicata, perché l’opera conserva ben due foderature storiche, che i restauratori precedenti hanno deciso di non rimuovere. Dapprima è stata recuperata la documentazione fotografica e diagnostica, dove esistente, degli interventi del passato (così come, ovviamente, anche per Domenichino), poi abbiamo eseguito radiografie, riflettografie in falso colore e anche micro campionature, per avere contezza più esatta dei materiali pittorici e di quelli sovrammessi.

Le indagini ci hanno confermato come lo stato di conservazione fosse, fortunatamente, nei volti e nei corpi, piuttosto buono, ma le lacune, specialmente sulla parte del cielo, erano numerose. È iniziato infine il restauro vero e proprio, che ha l’obiettivo di far riacquistare al Lanfranco una cromia più aderente alla superficie originale, che è assai peculiare perché il pittore dipinge lasciando, in alcuni punti, la scabrosità della tela a vista, utilizzando la preparazione come fosse un colore. In altre aree, soprattutto negli incarnati, utilizza invece una materia pittorica più spessa. Il restauro consentirà di leggere, con chiarezza, tutto questo».

«Orco, Norandino e Lucina» di Lanfranco prima del restauro

Arianna Antoniutti, 17 luglio 2024 | © Riproduzione riservata

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