Arianna Antoniutti
Leggi i suoi articoliIl Parco Archeologico dell’Appia Antica ha recentemente dedicato una campagna di indagini archeologiche e topografiche, appena conclusa, al Complesso ipogeo della Chiesa di San Cesareo de Appia. La chiesa, l’unica a noi giunta delle sei consacrate a Roma al diacono di origine nordafricana martirizzato a Terracina ai tempi di Traiano, è dal 2021 fra i beni di competenza del Parco diretto da Simone Quilici. Precedentemente era sotto la Direzione musei statali della città di Roma; l’attuale inclusione è motivata dalla sua collocazione, a pochi passi dalle Terme di Caracalla, sul primo miglio dell’Appia Antica.
Nell’ambito del progetto «Urbs. Dalla città alla campagna romana», finanziato dal Piano nazionale per gli investimenti complementari al Pnrr, è stato possibile effettuare una serie di interventi: rilevamento tridimensionale, indagini georadar (finalizzate alla verifica della presenza di ulteriori strutture archeologiche o cavità sepolte) e analisi diagnostiche delle murature. Le indagini, svolte sotto la direzione scientifica dell’archeologo Santino Alessandro Cugno, sono propedeutiche agli interventi di consolidamento statico e restauro conservativo dei pavimenti musivi e delle strutture murarie, di età romana e medievale, presenti al di sotto dell’edificio ecclesiastico.
Edificata nel IX secolo, l’assetto attuale della chiesa è seicentesco ma, al di sotto del suo pavimento, a circa 2 metri di profondità, si celano pregevoli mosaici pavimentali di epoca romana, estesi su una superficie di circa 300 metri quadrati. I mosaici, a tema marino, con figure nere su fondo bianco, costituiscono il pavimento di due ampie sale ipogee, quasi certamente con funzione termale, probabilmente parte di un impianto più esteso a carattere pubblico. Fra gli indizi della natura termale degli ambienti, sono i resti di una vasca con fondo di marmo e di cocciopesto. Le murature perimetrali sono prevalentemente in opus testaceum, con mattoni reimpiegati, mentre le pareti, o quantomeno le fasce basamentali, dovevano essere decorate con un rivestimento in crustae marmoree, di cui restano solo minime testimonianze in situ. Nel 1936, durante i lavori di rifacimento della pavimentazione della chiesa finalizzati all’eliminazione delle infiltrazioni d’acqua che avevano danneggiato le fondazioni dell’edificio, furono rinvenuti per la prima volta i mosaici. Nereidi, tritoni, pesci, costituiscono il corteggio marino, databile in età imperiale, tra l’epoca tardo-antonina e primo-severiana. Diverse sono le criticità conservative degli ambienti ipogei, in parte legate alle condizioni microclimatiche dei vani sotterranei e in parte alle caratteristiche idrogeologiche del terreno di fondazione. L’intervento di restauro è appena iniziato e terminerà a fine 2025.
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