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«Sphinx Act I» (2020) di Grada Kilomba dalla serie «Heroines, Birds and Monsters». Cortesia Marian Goodman Gallery

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«Sphinx Act I» (2020) di Grada Kilomba dalla serie «Heroines, Birds and Monsters». Cortesia Marian Goodman Gallery

Oggi l’arte vive su una piattaforma

Il Covid ha accelerato un processo in corso. Vi sono portali sempre più estesi e specializzati, ma non tutte le opere sono adatte a un’offerta in digitale

Michela Moro

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I collezionisti e gli appassionati d’arte oggi hanno a disposizione efficacissimi strumenti fino a poco tempo fa appannaggio di musei e gallerie: prima c’erano i siti web, adesso sono le piattaforme a farla da padrone. La pandemia ha agito da acceleratore su tecnologie già avanzate, e il gran traffico è ormai digitale. Apripista è stata Art Basel all’inizio dell’anno quando la fiera di Hong Kong venne cancellata e furono proposte le prime viewing room, un po’ noiosette nella ripetitività. Da allora sembrano trascorse ere geologiche: le aste di Sotheby’s e Christie’s da digitali si sono ibridate mescolando online e presenza, e dotando i collezionisti di strumenti sofisticati come la possibilità di visionare digitalmente le opere in vendita all’interno delle proprie abitazioni.

Le fiere, partendo da Frieze e Art Basel, si svolgono su piattaforme estremamente articolate dove le gallerie espongono le opere in spazi quasi fisici, con un denso corollario di eventi, incontri e percorsi studiati per i collezionisti. Artissima, che per l’edizione 2020 ha dovuto ripiegare sul digitale a causa della seconda ondata del Covid-19, non si è fatta trovare impreparata e, grazie ai finanziamenti del nuovo partner Intesa Sanpaolo, da tempo era al lavoro per creare un proprio variegato «ecosistema digitale». Sempre a Torino, anche Flashback, nonostante una dimensione più «nazionale» e un’offerta diversa, si è dovuta convertire al web, dove le opere saranno visibili sino a marzo.

Differenza fondamentale tra siti web e piattaforme è l’accessibilità: il sito raccoglie contenuti a disposizione di un pubblico indifferenziato, senza personalizzazioni, nel quale si entra in maniera automatica digitandone l’indirizzo, il portale è una struttura specializzata, che racchiude servizi mirati a disposizione di un gruppo di utenti, accessibile con un login personalizzato. Ogni portale (o piattaforma) è un mondo in perenne movimento, con una propria peculiarità e servizi «in verticale», oggi strumenti di lavoro imprescindibili.

Si va dalla possibilità di catalogazione delle collezioni alla condivisione delle stesse: a Milwaukee il direttore di un museo può scoprire che c’è un bellissimo Calzolari utile alla sua mostra in una collezione italiana. Sono offerte la possibilità di condition report, la gestione dei magazzini delle gallerie, le newsletter, la valutazione delle opere, la gestione dei prestiti e i certificati delle opere gestiti da QR code, e naturalmente la realizzazione e la gestione dei siti, oltre alla funzione di aggregatori per piccole gallerie.

Bernabò Visconti di Modrone è il fondatore e ceo di Artshell, piattaforma che ha tra l’altro «prodotto» miart online lo scorso settembre: «Artshell, spiega, è nata nel 2018 con l’obiettivo di gestire gli archivi di collezioni d’arte, riducendo le pratiche burocratiche relative all’archivistica e semplificando la logistica, poi si è evoluta: stiamo lavorando con una serie di collezioni come Iannaccone, Fiorucci e Ubi Banca, abbiamo realizzato una sorta di mappa interattiva, Museo City, per i musei milanesi, creato The Vault, un caveau digitale. Collaboriamo inoltre con personalità e servizi che ruotano attorno al mondo dell’arte come Open Care, Art Defender e Lara Facco. Ultima cosa fatta è un’infrastruttura di comunicazione per condividere molti più dati in stile Dropbox.

Il nostro obiettivo è creare una grande rete condivisa: il mercato dell’arte è una straordinaria rete che di fatto esiste solo su carta; nonostante sia microscopica rispetto ad altri mercati, essendo frammentata è difficilissimo gestirla. Se il mercato dell’arte utilizzasse uno standard più preciso, la comunicazione sarebbe più semplice»
.

Poi è arrivata miart online: «Per noi è stato un successo: siamo stati i primi a introdurre la modalità chat, scambio di messaggi con notifica sul modello di WhatsApp, che è poi stata ripresa dalle altre fiere, e la piattaforma non è mai andata in down. Però ho percepito uno scetticismo nei confronti della fiera online, probabilmente dovuto alla forzatura dettata dalle circostanze, non avvenuta attraverso un passaggio graduale; inoltre è un errore tentare di trasportare online esattamente ciò che avverrebbe nel mondo reale».

Non mancano, insomma, le difficoltà: «Il mercato dell’arte è destrutturato e l’estrema differenziazione “non piace” alle macchine, ognuno ha una sua modalità ed è difficile accontentare tutti. Bisogna creare una piattaforma che sia personalizzabile sotto ogni aspetto, sistemi fruibili sia per giovani sia per persone più anziane. Le aspettative da parte del pubblico sono molto alte perché la fiera digitale è vista come evento rivoluzionario, ma in realtà si tratta di un catalogo online in cui si cerca di dare visioni differenti, in maniera comoda e interagendo con le gallerie.

Le fiere dovrebbero utilizzare una piattaforma già fatta che permetta di concentrarsi sulle proprie competenze: le fiere si assomigliano, fa la differenza il contenuto e non lo scheletro
. Dev’esserci un progetto forte. Una mostra reale e una online devono avere strategie diversificate: so che David Zwirner durante la pandemia ha aumentato esponenzialmente le vendite dal sito, perché ha strutturato il suo canale in maniera adatta alla vendita digitale. La pubblicità cartacea, poi, è differente da quella online: occorre un pensiero per catturare l’attenzione in base al medium».

Intanto stanno nascendo anche nuove figure professionali. Il curatore dovrà assimilare nuove competenze e le proposte devono essere calibrate diversamente: «Il dato di Zwirner va osservato poiché ha cambiato le modalità di vendita, vendendo online opere differenti da quelle che vende fisicamente, conclude Bernabò Visconti di Modrone. Non si può pensare che una semplice traslazione del proprio lavoro dal punto di vista fisico, anche con la migliore delle tecnologie, porti allo stesso esito».

Nessuno sa quanto costano WhatsApp, Instagram, Facebook. Il web ha abituato il pubblico a utilizzare prodotti costosissimi gratuitamente, senza rendersi conto di quanto sofisticato e complesso sia il prodotto in sé. I costi sono stati sempre un limite per le giovani gallerie con poche risorse e molte necessità a cui queste piattaforme spalancano nuove possibilità.

L’art advisor Mattia Pozzoni lavora tra Milano e Londra seguendo collezioni internazionali e italiane: «Utilizzavo piattaforme come Artshell e Artland ben prima del lockdown, e altre per servizi più mirati. Recentemente per Frieze abbiamo organizzato a Londra una piccola mostra dal vivo di Luke Burton e Morgan Wills, con Bosse&Baum e Sid Motion, due giovani gallerie, in una vecchia fabbrica di sedie. Utilizzando il servizio di Artland di mappe in 3D con una buona resa sia per le opere che per lo spazio, abbiamo restituito la mostra quasi in prima persona, c’è anche il reale panorama alle finestre. Il caricamento leggero dei dati permette un buon funzionamento sul cellulare».

Ma che cos’hanno di più le piattaforme rispetto ai siti e come cambia la sua professione? «Un accesso molto più facile alle opere, spiega Pozzoni, così la clientela è più recettiva. Il mercato dell’arte si sta democratizzando e determinati servizi che prima erano appannaggio di pochi esperti ora sono rimandati alle piattaforme, penso ai condition report, alla catalogazione. È possibile il tour di esposizioni complete dall’altra parte del mondo.

Sono un sostenitore della trasparenza, io metterei il prezzo ben chiaro per permettere l’acquisto addirittura con un click. I mesi a casa con questi strumenti mi hanno aiutato a scoprire cose nuove, Insta
gram si sta rivelando un importante mezzo per scoprire nuovi trend e gli artisti emergenti. Ma quello che vincerà sempre, non voglio essere romantico, sono i contenuti e la forza viscerale dell’arte nell’essere vista dal vivo».

«Sphinx Act I» (2020) di Grada Kilomba dalla serie «Heroines, Birds and Monsters». Cortesia Marian Goodman Gallery

Michela Moro, 09 novembre 2020 | © Riproduzione riservata

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