Nel 1988, una settimana prima dell’apertura dei Giochi Olimpici a Seul, Nam June Paik, uno degli artisti più famosi della Corea del Sud, collegò una dozzina di Paesi e milioni di persone con una delle sue visionarie trasmissioni televisive via satellite. Nei numerosi segmenti di cui l’opera era composta erano visibili, tra gli altri, David Bowie che cantava, degli elefanti thailandesi che giocavano a calcio e una gara automobilistica sotto la pioggia in Irlanda. Mentre l’attenzione del mondo si volgeva alla sua terra natale, il lavoro di Paik, incarnando pienamente lo spirito olimpico, sottolineava l’importanza della comunicazione culturale e della solidarietà globale.
Trentasei anni dopo, gli echi di quell’opera risuoneranno in una nuova mostra che apre a Parigi lo stesso giorno dell’inaugurazione delle Olimpiadi 2024. Ospitata dal Ministero della Cultura, dello Sport e del Turismo della Repubblica di Corea e organizzata dal Korea Arts Management Service, «Decoding Korea» (dal 26 luglio al 25 agosto) porta dieci artisti contemporanei del Paese asiatico al Grand Palais Immersif, uno spazio per opere immersive, audiovisive e digitali aperto nel 2022 all’Opéra Bastille. Sarà presente anche «Wrap Around the World», l’opera di Paik del 1988, .
«La tecnologia digitale ha ulteriormente trasformato l’arte da qualcosa di proprietà privata a qualcosa di ampiamente condiviso, afferma il curatore della mostra, Lee Daehyung, membro del consiglio di amministrazione della Nam June Paik Cultural Foundation e, tra tanti altri ruoli, curatore del Padiglione coreano alla Biennale di Venezia del 2017. È un cambiamento che rende sempre più tangibile la visione di Paik di una comunità artistica connessa a livello globale. “Decoding Korea” si allinea a questi ideali mettendo in discussione i valori di cui si avverte un urgente bisogno nel mondo di oggi. Riflette sulla complessa storia moderna della Corea, segnata sia dal dolore che dallo splendore, dalla divisione e dall’unità, offrendo una prospettiva sfumata sul cammino della Nazione».
Per raccontare questa storia le opere utilizzano una serie di tecnologie all’avanguardia, invitando il pubblico a esplorare e a connettersi con le correnti culturali e storiche più profonde della Corea. In una di esse, «489 Years» di Kwon Hayoun, i visitatori sono accompagnati in un viaggio in realtà virtuale attraverso il misterioso mondo della Zona demilitarizzata che divide la Corea del Sud dalla Corea del Nord. Il titolo si riferisce al tempo che si stima si necessario per eliminare tutte le mine antiuomo dalla zona. Altrove, un video di Jung Yeondoo che occupa un’intera stanza offre una visione (letteralmente) a volo d’uccello dell’industrializzazione della città di Ulsan, mentre «Land for School» di Park Junebum analizza le strutture complesse e i meccanismi di controllo delle città moderne mediante la sociologia urbana e la teoria della sorveglianza.
La rapida ascesa della Corea del Sud quale potenza globale si basa in gran parte sulle sue industrie high-tech. E per molti artisti coreani, sottolinea Lee, la tecnologia è fondamentale per il loro lavoro. «Gli artisti nati in Corea tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni ’90 hanno vissuto un periodo dinamico di democratizzazione e di rapida industrializzazione. Queste esperienze hanno impregnato il loro lavoro con una miscela unica di elementi tradizionali e contemporanei, consentendo loro di offrire una prospettiva trasversale che attraversa i secoli e connette il ricco patrimonio culturale della Corea con i suoi progressi moderni. La loro arte spesso riflette una profonda comprensione dei contesti storici e allo stesso tempo si confronta con le attuali questioni globali, creando un dialogo tra il passato e il presente».
A differenza di molte esperienze di arte immersiva fiorite negli ultimi anni, da alcuni criticate in quanto reinterpretazioni superficiali di opere esistenti, «Decoding Korea», sottolinea Lee, presenta artisti che utilizzano le tecnologie per superare i confini delle forme d’arte tradizionali. «Per questi artisti, chiarisce il curatore, la tecnologia non è solo uno strumento di creazione, ma una lente filosofica attraverso la quale comprendono e interpretano il mondo. Questo quadro filosofico permette loro di esplorare temi complessi quali l’identità, la memoria e i cambiamenti sociali. Rispetto alla mera abilità tecnica, danno priorità alla profondità concettuale e all’impegno intellettuale».
Un’opera che compendia questo approccio è «NFT Museum: Pieta» di Lee Yongbaek. L’artista trasforma la Pietà, tradizionalmente fisica, nella forma digitale e collezionabile dell’Nft, approfondendo la sfumata interazione tra desideri umani e valori religiosi. In «Full of Fortune» di Ram Han, che utilizza la realtà virtuale, il tracciamento delle mani e l’Intelligenza artificiale per coinvolgere lo spettatore in un’«esperienza postumana», è possibile mangiare una simulazione di cibo, mentre «Double Poser» di Kim Heechoen si serve della tecnologia dei videogiochi per «decostruire il concetto di tempo».
L’auspicio di Lee è che la mostra fornisca ai visitatori una «prospettiva transgenerazionale» e che, riflettendo sul complesso percorso della storia moderna della Corea, «sottolinei l'importanza dell'empatia e delle esperienze culturali condivise per superare le sfide geopolitiche contemporanee» e «incarni lo spirito olimpico promuovendo attraverso l’arte l’unità globale».