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Edek Osser
Leggi i suoi articoliCristiana Collu dirige il suo terzo museo, dopo Nuoro e Rovereto. E il 10 ottobre presenta il completo riallestimento di tutta la Galleria. Alla domanda su che cosa fare dell’ala Cosenza risponde: «Ci vuole una buona idea per andare altrove»
Otto mesi fa Cristiana Collu, 47 anni, è arrivata a Roma per dirigere la Galleria Nazionale d’Arte moderna e contemporanea (Gnam), il più importante museo italiano per l’800 e il ’900. Prima aveva già guidato tre musei: per 12 anni (1999-2011) il Man, Museo d’Arte di Nuoro; aveva proseguito dal 2012 al 2015 con il Mart di Rovereto, uno dei nostri maggiori centri d’arte contemporanea; e poi, per pochi mesi, di nuovo a Nuoro con l’Isre, Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna e i suoi musei. Nell’agosto 2015 ha vinto il concorso del Mibact per la direzione della Gnam.
Dott.ssa Collu, com’è andata finora?
Conoscevo questo museo soltanto come visitatrice e quando sono arrivata, nel novembre scorso, volevo innanzitutto capire. Avevo idee magnifiche per mostre che non avevo avuto il tempo di realizzare al Mart. Invece, una volta qui ho pensato che era necessario partire dalle fondamenta. Ero chiamata a riorganizzare questo istituto da tutti i punti di vista: finanziario, gestionale, del personale, ma anche della importante collezione che si estende per due secoli, straordinaria nella sua unicità .
Da dove ha cominciato?
Ho messo al centro la Galleria e la sua «remise en forme»: questo edificio ha più di cento anni (il suo nucleo inziale venne realizzato da Cesare Bazzani per l’Esposizione del cinquantenario dell’Unità d’Italia del 1911, Ndr), è una vecchia signora che ha bisogno di cure. Ho capito che la Galleria è circondata dall’affetto di un folto gruppo di persone che la frequentano. È un punto di riferimento, ha una storia, un glamour che però con gli anni è diventato un po’ opaco. Per prima cosa ho tolto le superfetazioni eliminando gli strati che si erano depositati nel tempo. Ho poi deciso di riallestire l’intera collezione. Abbiamo iniziato ad aprile: sarebbe stato più semplice chiudere del tutto la Galleria per facilitare i lavori che finiranno a ottobre con il riallestimento completato. Ma era una scelta troppo radicale: ho preferito chiusure parziali.
C’è anche una nuova organizzazione degli spazi?
Il salone centrale è destinato da sempre alle mostre temporanee e concepito per questo anche dal punto di vista architettonico. Per ora le mostre si terranno ancora lì anche se quel salone di circa 600 metri quadrati è inadeguato per una grande mostra. Per compensare la mancanza di spazio si dovranno quindi realizzare esposizioni di altissima qualità. Il 21 giugno abbiamo inaugurato «The lasting, l’intervallo e la durata», una mostra che dà inizio a una riflessione sull’idea di «tempo» centrata su artisti contemporanei ma con la presenza di Calder, Medardo Rosso e Fontana. È come la testa e la coda della grande «mostra» della riapertura che avverrà il 10 ottobre e presenterà il completo riordino della collezione. Lo tratto come una mostra temporanea anche se durerà più a lungo. Il titolo è una frase dall’«Amleto» di Shakespeare, «Time is out of joint»: il tempo è fuori di senno, disarticolato.
Più che un riallestimento sembra un ideale programma di lavoro.
Mi interessa seguire le anticipazioni del futuro e l’archeologia del presente. Non possiamo essere soltanto i custodi di un’eredità che è esposta comunque al cambiamento. Non voglio sconvolgere nulla ma portare il mio tempo nel museo.
Uno dei settori vitali della Galleria è quello dei servizi al pubblico, con la ristorazione sulla terrazza esterna che è diventata anche luogo di ritrovo. Cambierà qualcosa?
È necessario ripensare la situazione di tutti i servizi che qui sono «aggiuntivi» in tutti i sensi: questo edificio è nato quando non esistevano. Il primo intervento è sull’ingresso e l’accoglienza: biglietteria, bookshop, anche un piccolo punto di ristorazione e caffetteria con un luogo dove i visitatori possono sostare usando il wifi con i nuovi servizi tecnologici del museo.
Ci saranno strumenti elettronici legati alla visita?
È un settore in grandissima evoluzione. Attraverso uno smartphone sarà possibile personalizzare i servizi del museo. Saranno a disposizione di tutti una serie di strumenti e abbiamo studiato diverse forme di audioguida. È stato rifatto completamente il sito web anche per essere presenti in tutte le piattaforme social e questo ci mette continuamente in gioco come istituzione pubblica: un ruolo che non dobbiamo mai dimenticare.
Uno dei problemi che assillano la Galleria è quello dell’«ala» progettata da Luigi Cosenza nel 1973 e «conclusa» nel 1987. Mai completata, è chiusa dal 1998 perché non a norma. Tanti progetti per ricostruirla oppure per ristrutturarla, compreso il concorso internazionale vinto dagli svizzeri Diener & Diener. Il Mibact ha messo ora 15 milioni. Serviranno per risolvere il rebus dell’ala Cosenza?
La questione è stata subito affrontata. Ho messo nelle mani del Ministero cinque alternative, tra le quali anche un radicale «piano A»: demolire e ricostruire. Abbiamo poi scelto insieme un «piano B», il recupero dell’edificio attuale. È una soluzione adeguata ai 15 milioni disponibili, ma anche più rapida da realizzare. La somma è già utilizzabile. Il piano di recupero è pronto con un quadro dei costi: entro pochi mesi entreremo nella fase operativa.
Che cosa ci sarà nella nuova «ala»?
Non sono sicura che un museo debba espandersi a dismisura come è accaduto al MoMA e al Metropolitan di New York. Così non sono sicura se quegli spazi debbano essere destinati all’esposizione o magari ai servizi come è accaduto ad altri musei. Credo proprio che ci voglia semplicemente una buona idea che provi ad andare altrove. La riflessione va fatta sul futuro dell’intera Galleria e della sua funzione.
Il numero dei visitatori non sembra adeguato all’importanza della Galleria. Ha in mente qualcosa per renderla più attrattiva?
Immagino che quest’anno, con le parziali chiusure per i lavori, potremo avere una contrazione nel numero di visitatori o al massimo ripetere il risultato di 150mila ingressi dell’anno scorso. Penso che da ottobre, a riallestimento finito, con la Galleria tutta riaperta ci sarà un forte recupero. Su come rilanciarla il discorso è più complesso. Bisognerà cambiare la percezione comune che il museo sia decentrato. Si deve aprire un discorso con la città e collaborare con altri musei, a cominciare dal MaXXI. Ho già iniziato.
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