Arabella Cifani
Leggi i suoi articoliMolto ben scritto e ben documentato, Il diavolo. Storia iconografica del male di Laura Pasquini (raffinata studiosa, specializzata in diavolerie artistiche) ci porta a spasso con il diavolo e la sua iconografia attraverso i secoli e ci lascia solo il rimpianto di non avere potuto vedere ancora più immagini. Solitamente il diavolo è raffigurato con le corna, zampe caprine, ali da pipistrello, circondato da una forte puzza di zolfo. Ma chi l’ha visto sul serio? E chi può affermare che vada in giro così sistemato? Molti padri della Chiesa e santi venerabili hanno dichiarato di averlo incrociato: Cristo ci parlò a lungo nel deserto al termine dei 40 giorni di penitenza che vi fece e gli concesse perfino di tentarlo (salvo poi mandarlo al diavolo). Nei Vangeli, d’altra parte, gli indemoniati si sprecano. Quello che sedusse Adamo ed Eva divenne un serpente (prima non lo era, ma sa il diavolo che cosa fosse) e, come tale, spesso è rappresentato fin dal tempo della nascita del Cristianesimo.
A mano a mano che si avanza nel Medioevo Satana, Belial, Belzebù, Mefistofele, o come lo volete chiamare, prende più o meno l’aspetto con cui oggi crediamo di conoscerlo. Nel Medioevo fu un’ossessione per preti e laici; si vedevano diavoli dappertutto e l’arte si è sbizzarrita a raffigurarli il più brutti possibile, quasi un rigurgito di tutti gli incubi umani peggiori. Terrificanti giudizi universali o personali, lotte fra angeli e demoni per l’anima di un defunto, inferni pullulanti di demoni che torturano nei modi più orrendi i peccatori. E poi c’è Dante che gli fa una bella pubblicità; per lui Lucifero (l’angelo ribelle caduto dal cielo all’origine dell’inferno) ha tre facce come Dio, è anzi una parodia malvagia della Trinità, frustrato nel suo eterno tentativo di scalare il cielo, eternamente incatenato al fondo dell’Erebo. Nel Nord Europa diviene un mostro grottesco e con lui cavalca la morte che spesso gli si associa. Il Rinascimento vedrà arrivare diavoli più accettabili, dalle parvenze umane anche se torve, come l’Anticristo che predica in diretta con un suggeritore demoniaco accanto, negli affreschi di Luca Signorelli della Cappella di San Brizio nel Duomo di Orvieto.
Non mancano le diavolesse femmine (il diavolo è anche donna o forse è proprio una donna) che tentano con le loro grazie eremiti ed esangui monaci o convincono i creduli progenitori a mangiare la mela delle nostre disgrazie. Nel tempo del Barocco il diavolo diventa quasi divertente: Rutilio Manetti ne dipinge uno che tenta sant’Antonio abate e pare un contabile di banca, con tanto di occhiali, se non fosse per le corna e per due orecchie aguzze che spuntano fra i capelli folti e ricci. Pieter van Laer lo evoca in una grottesca scena di negromanzia e poi fa finta di spaventarsi e ci aggiunge, per beffa, su un cartiglio un canone musicale a tre voci con l’avviso che «il diavolo non burla»: il diabolus in musica? Il Settecento tacita il demonio: ci sono in giro troppi «philosophes» e l’ottimismo della ragione non ammetteva mostri cornuti a spasso. L’ottimismo però finì sulla ghigliottina e il diavolo restò. L’Ottocento fa di Mefistofele un mito con Faust alla testa di un cumulo di imitatori spesso ridicoli, mentre Goya lo trasforma in terrore puro nei suoi Sabba, molto più paurosi di dieci prediche sull’inferno visto che sono la dimostrazione diretta che il demonio esiste e Goya l’ha visto. Il Romanticismo esalta Luciferi bellissimi caduti, tristi e tutto sommato noiosi (ma si può pentire un diavolo?).
Si direbbe che il positivista e scientifico Novecento non debba più avere nulla a che fare con questa iconografia e invece ci sta in mezzo, eccome. Ci sono le tentazioni di sant’Antonio di Dalí e di Max Ernst o certi diavoli inquietanti di Picasso e di Basquiat, ma un secolo con guerre così crudeli non ha bisogno di demoni da rappresentare: erano già tutti in giro e ben visibili. E oggi come si dipinge il diavolo? Come nelle potenti immagini di «Angeli caduti» di Anselm Kiefer che erano l’anno scorso a Palazzo Strozzi? Ma ne abbiamo ancora bisogno di queste rappresentazioni? Il diavolo lo possiamo vedere ogni giorno all’opera aprendo la televisione o scrollando il telefonino, sta dentro di noi, nelle guerre, nella violenza che cinge il mondo come un cerchio di ferro. Lui ci ha convinti che Dio non esiste ma, come domanda il padre a Ivan in I fratelli Karamazov (e come possiamo domandare tutti noi): «E chi si prende gioco degli uomini, Ivan?». La risposta è precisa: «Il diavolo, probabilmente».
Il diavolo. Storia iconografica del male
di Laura Pasquini, 364 pp., ill., Carocci, Roma 2024, € 39
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