Virtus Zallot
Leggi i suoi articoli«Piccole storie dal Medioevo» è un ciclo di brevi saggi dedicati a temi di un Medioevo «minore» indagato attraverso fonti agiografiche, letterarie e iconografiche. Ne emerge un mondo in cui realtà e immaginario, sacro e profano, consueto e straordinario, dramma e leggerezza si integrano non senza ironia e con ingenuità solo apparente, a veicolare contenuti e insegnamenti mai superficiali: un Medioevo inaspettato e affascinante.
Nella scena intitolata «Visitazione» Maria ed Elisabetta si abbracciano, tanto che la Chiesa orientale denomina tale icona «Aspasmos», cioè abbraccio. Ricevuto dall’angelo l’annuncio della straordinaria gravidanza, Maria si era recata dalla cugina incinta di Giovanni, il futuro Battista: si erano ritrovate con gioia, gioia che fece sussultare il piccolo Giovanni nel ventre materno e che indusse Elisabetta a elevare il «Magnificat». Pur non espressamente citato nel Vangelo, l’abbraccio dava forma visibile alla letizia del loro incontro. Non era tuttavia da intendersi soltanto come umanissima espressione di affetto e di condivisione emotiva, ma si faceva esegesi figurata: con l’accostarsi dei due ventri, si incontravano infatti l’ultimo profeta e il messia, il tempo vecchio e il tempo nuovo.
Depurandola di tali rimandi e significati, in «The Greeting» (1995) Bill Viola reinterpretò invece la «Visitazione» (ispirandosi a quella di Carmignano, di Pontormo) come slow-motion di un’urgenza femminile totalmente e semplicemente umana.
Una «Visitazione» occupa una faccia laterale dell’altare di Ratchis, voluto (come recita l’iscrizione) dal duca longobardo e per questo databile dal 737 al 744. Originariamente nella Chiesa di San Giovanni Battista in Cividale del Friuli, il prezioso manufatto è ora conservato nel Museo Cristiano della città. La «Visitazione» dell’altare di Ratchis ha assunto nella Storia dell’arte «popolare» un ruolo non invidiabile: considerata di bruttezza esemplare, è infatti citata quale prova evidente del decadimento artistico tipico del Medioevo. Il linguaggio visivo dei longobardi la rende infatti sgradevole: per i volti quasi mostruosi, per i corpi piatti e sproporzionati, per i panneggi dall’andamento grafico, per l’assenza di qualsiasi afflato emotivo e, soprattutto, per le braccia troppo lunghe che si abbracciano in modo improbabile.
Pure, meglio forse degli esempi che assecondando il verosimile lo narrano e descrivono, essa coglie e comunica il significato dell’episodio, facendosi abbraccio. L’espediente formale e funzionale delle braccia sovradimensionate (anche per raggiungere la spalla opposta della compagna, attraversandone il busto frontale) si fa contenuto. Tale soluzione, dunque sostanziale, ricorre nelle «Visitazioni» di epoca romanica, per esempio in quella in Santa Maria di Ronzano (Teramo). Nella cappella di Castel Appiano (Bolzano), invece, le braccia sono persino corte, ma anatomicamente deformate per stringere i corpi in una morsa che avvinghia. Altre «Visitazioni» ancora, soprattutto scolpite, enfatizzano l’abbraccio mediante enormi mani.
Il sovradimensionamento delle braccia che abbracciano compare anche nel gruppo in porfido dei Tetrarchi, realizzato intorno al 300 d.C. e inserito sul cantonale sud della Basilica di San Marco a Venezia, dove giunse con il bottino ricavato dal saccheggio di Costantinopoli del 1204. Il gruppo è formato da due coppie di uomini, ugualmente abbigliati e con volti generici: in ciascuna coppia solo quello di destra ha la barba; entrambi poggiano la destra sulla spalla opposta del compagno e impugnano con la sinistra la spada. Solo il braccio che abbraccia della figura di destra (alla nostra sinistra) è però totalmente visibile; egli domina per questo il vicino, affermando una superiorità che posizione (a destra, appunto) e barba ribadiscono.
In considerazione di tali elementi, si è riconosciuto in ciascuna coppia un augusto e un cesare: il loro abbraccio esprime la condivisione del potere ma anche la superiorità dell’augusto sul cesare; le mani che impugnano la spada dichiarano la disponibilità a soccorrersi. Di nuovo, l’abbraccio di braccia troppo lunghe non è dunque forma errata ma deformazione espressiva: forma che si fa contenuto.
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