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«La prova delle acque amare», Cattedra di Massimiano, VI secolo, Museo Arcivescovile, Ravenna

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«La prova delle acque amare», Cattedra di Massimiano, VI secolo, Museo Arcivescovile, Ravenna

Piccole storie dal Medioevo • Verso il Natale

Maria incinta, Giuseppe geloso, e un’acqua amara e velenosa da bere che si rivela innocua

Virtus Zallot

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Ed ecco che, dopo l’annuncio dell’angelo inviato dal Signore, la giovanissima Maria si ritrovò ad aspettare un bambino: prima che lei e Giuseppe fossero andati a vivere insieme, precisa l’evangelista Matteo; senza aver conosciuto uomo, come ella stessa riferì all’angelo secondo il Vangelo di Luca.

Al comprensibile sconcerto del buon Giuseppe, Pier Paolo Pasolini dedicò la sequenza iniziale del «Vangelo secondo Matteo» (1964), dove un dialogo silenzioso di primi piani (lei mortificata, lui deluso) precede l’inquadratura che mostra (attraverso gli occhi di Giuseppe) la sposa vistosamente incinta.

Un’immagine dal film «Vangelo secondo Matteo» (1964) di Pier Paolo Pasolini

I Vangeli apocrifi narrano della prova a cui fu sottoposta secondo la «Legge relativa alla gelosia» prescritta dalla Bibbia in Numeri. Il marito avrebbe condotto al sacerdote la moglie di cui sospettava il tradimento e questi le avrebbe fatto bere l’acqua amara: innocua in caso di innocenza, altrimenti tossica. Dedotto dunque dagli Apocrifi, l’episodio è raramente illustrato. Compare, per esempio, in una delle tavolette superstiti che ornano lo schienale interno della Cattedra di Massimiano, il prezioso sedile eburneo del VI secolo conservato presso il Museo Arcivescovile di Ravenna. La scena presenta Maria che avvicina alla bocca la ciotola colma di acqua amara mentre Giuseppe, che le è accanto, già l’ha bevuta e senza danno. Secondo i Vangeli apocrifi infatti (e contrariamente alla consuetudine che lo riservava alla donna) si sottoposero al giudizio divino entrambi. Alle loro spalle, invece del sacerdote, compare un angelo.

Più dinamico e narrativo, il dipinto murale in Santa Maria Foris Portas a Castelseprio illustra la versione dello pseudo Matteo, collocando il rito accanto all’altare attorno al quale i due accusati dovettero percorrere sette giri. Di Giuseppe, che già ha superato la prova, rimangono soltanto le gambe. Maria sta ricevendo l’acqua amara dal sacerdote, cui l’anonimo pittore (che operò probabilmente nel IX secolo, ma la datazione del ciclo è discussa e variamente collocata dal VII al X) ha attribuito un’espressione preoccupata e di trepida partecipazione. La prova delle acque amare certificò dunque l’innocenza di Giuseppe, la verginità di Maria e la straordinarietà della sua gravidanza. Secondo il Vangelo di Matteo fu invece un angelo a rassicurare Giuseppe che «quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo».

«La prova delle acque amare», VII-X secolo, Santa Maria Foris Portas, Castelseprio

La raffigurazione del corpo di Maria, e tanto più del suo corpo di gravida, rimase tuttavia, e a lungo, tabù. Nell’icona denominata «Madre del segno» reca sul ventre l’effige del figlio: non bambino ma piccolo e ieratico adulto consapevole della propria divinità. Non ecografia dunque ma visualizzazione di un mistero; non sguardo che penetra nel ventre femminile ma celebrazione di colei che, «più ampia dei cieli» («platytera», termine che designa la Vergine in tale tipologia iconografica), porta in grembo colui che nulla potrebbe contenere.

Ancora viva nella devozione e produzione della Chiesa orientale, tale immagine è tramandata, per esempio, in una famosa tavola (XIII secolo) conservata alla Galleria Tret’jakov di Mosca.

«Madonna del Segno», XIII secolo, Galleria Tret’jakov, Mosca

L’arte occidentale invece, ma dal XIV secolo, attribuì a Maria il corpo, la postura e la presunta e convenzionale espressione dolce delle donne incinte: come nella tavola di Bernardo Daddi al Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore di Firenze oppure nell’affresco di Vitale da Bologna in Santa Maria dei Servi a Bologna, entrambi trecenteschi. In questi e altri esemplari il chiaroscuro conferisce rotondità al ventre della Vergine diventata vera, che indossa un abito (amplio oppure ampliabile) altrettanto vero. Il libro che reca in mano è chiuso poiché il Verbo deve ancora svelarsi, ma nascerà.

«Madonna del parto» (1335) di Bernardo Daddi, Museo dell’Opera del Santa Maria del Fiore, Firenze

La «Madonna del parto» di Monterchi (realizzata da Piero della Francesca tra il 1450 e il 1465 e oggetto di antiche e recenti vicende e discussioni conservative ed espositive) è invece svelata (materialmente e simbolicamente) dai due angeli che scostano le cortine di un prezioso baldacchino/tabernacolo, aprendo il tempo della Rivelazione. Senza entrare in merito all’intensità teologica della figura (ripetutamente indagata e interpretata, per esempio da Massimo Cacciari in La Passione di Maria, uscito recentemente per Il Mulino) osserviamone la concretissima realtà di donna in gravidanza: nella postura del corpo, nel gesto delle mani, nel volume e nella forma del ventre e nell’abito predisposto ad adattarsi al suo crescere, con le tre fessure verticali già scostate a mostrare la sottoveste candida. A breve, la Vergine madre figlia di suo figlio (Dante) partorirà.

«Madonna del parto» (1450-65) di Piero della Francesca, Museo Civico della Madonna del parto, Monterchi

Virtus Zallot, 03 dicembre 2024 | © Riproduzione riservata

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