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Da sinistra: Mattia Caiati di Caiati Old masters, Giulia Cavagnis e Giovanni Lacerenza di Cavagnis Lacerenza Fine Art, Matteo Allemandi di Allemandi Fine Art

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Da sinistra: Mattia Caiati di Caiati Old masters, Giulia Cavagnis e Giovanni Lacerenza di Cavagnis Lacerenza Fine Art, Matteo Allemandi di Allemandi Fine Art

Quattro giovani alfieri dell’arte antica

La sfida delle nuove generazioni di antiquari è riaccendere l’interesse per opere cariche di storia. Non è facile: manca la cultura e ci sono infinite alternative più comode. Ecco come lavorano alcuni galleristi under 35 

Cecilia Paccagnella

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In vista dell’apertura di Amart (dal 6 al 10 novembre), sorge un interrogativo sul rapporto tra le nuove generazioni e un settore da molti considerato «antiquato». «Il Giornale dell’Arte» ha interpellato quattro giovani, under 35, le cui gallerie hanno sede a Milano, per avere un’opinione in materia e qualche rivelazione circa le loro strategie commerciali: Matteo Allemandi (1988) di Allemandi Fine Art, galleria specializzata in oggetti d’arte tra Rinascimento e Novecento, Mattia Caiati (1989) di Caiati Old Masters, che tratta dipinti antichi, e Giulia Cavagnis (1991) e Giovanni Lacerenza (1991) di Cavagnis Lacerenza Fine Art, focalizzata sulla scultura antica, dall’archeologia al Settecento.

Di solito associamo il termine «antiquariato» a una generazione «argento». È un luogo comune o risponde a realtà? Voi professionisti come vivete questo gap?
Matteo Allemandi: L’antiquariato è stato a lungo percepito come legato a una generazione più matura, spesso vista come l’unica depositaria della sensibilità verso il passato e oggetti carichi di storia. L’idea però che sia suo appannaggio esclusivo è superata. In un’epoca in cui tutto è digitale e rapido, il fascino di un oggetto storico sta nella sua unicità e nel suo essere testimone del tempo e questo attira un pubblico giovane e diversificato. Il gap generazionale è una sfida stimolante. Da galleristi, il nostro compito non è solo vendere, ma creare connessioni tra epoche e sensibilità diverse. Ci impegniamo a presentare l’antiquariato in modo contemporaneo: un oggetto antico può vivere in un ambiente moderno e arricchirlo. Utilizziamo piattaforme digitali e social media per raggiungere i più giovani, che magari non si sentono rappresentati dai canali tradizionali (anche se poter raccontare un’opera di persona non ha eguali). In fondo, il valore dell’antiquariato non è solo nel suo prezzo, ma nella storia che racconta, una narrazione universale capace di parlare a tutte le generazioni.

Mattia Caiati: In Italia corrisponde abbastanza alla realtà delle cose. Non conosco molti colleghi della mia età, anche se all’estero è un po’ diverso. Questo gap si colma essendo molto preparati: siamo una generazione che ha dovuto affrontare maggiori difficoltà rispetto a quella precedente. Andando avanti può anche diventare un vantaggio.

Giulia Cavagnis e Giovanni Lacerenza: È necessario distinguere tra la concezione di antiquariato in Italia e all’estero. Qui, l’immagine dell’arte antica sembra essere ancora fortemente associata a una generazione più matura. All’estero è apprezzato da una clientela più giovane e dinamica, spesso interessata alla storia del design. Riteniamo che la situazione italiana sia in parte influenzata dalla percezione «polverosa» che trasmette. Da un lato, si è diffuso un disinteresse verso la conoscenza storico artistica degli oggetti; dall’altro, persiste una convinzione diffusa che l’antiquariato è molto più costoso di quanto non sia. Vediamo questo divario come una sfida che siamo determinati a superare. La nostra strategia punta a risvegliare l’apprezzamento per l’antico attraverso canali digitali e tradizionali. L’Italia possiede nel proprio dna una passione per l’antiquariato che crediamo possa essere riscoperta. Da qui la decisione di aprire una sede fisica a Milano nel 2020.

Ma allora ci sono giovani che comprano?
M.A.: Assolutamente sì. Il mondo dell’antiquariato è diventato più accessibile, e questa democratizzazione ha ampliato il bacino di acquirenti. I giovani sono attratti dall’idea di possedere pezzi unici, con una storia e un carattere distintivo. C’è una crescente sensibilità verso il «fatto a mano», la qualità e la sostenibilità. Sono sempre più consapevoli del valore storico ed economico di ciò che acquistano. Molti vedono questi oggetti non solo come decorativi, ma veri e propri investimenti culturali. Il nostro compito di galleristi è continuare a proporli con un linguaggio al passo con i tempi, mantenendo la tradizione ma reinterpretandola in chiave contemporanea.

M.C.: Non solo il gusto è cambiato, ma anche lo scenario economico. I giovani hanno disponibilità minori rispetto al passato. È necessario aiutarli a coltivare la curiosità verso l’antico finché non potranno permetterselo.

G.C. e G.L.: Dalla nostra esperienza risulta evidente che soprattutto i giovani stranieri acquistano arte antica: il nostro portafoglio clienti giovane è composto per il 90% da residenti all’estero. Tuttavia, uno dei nostri prossimi obiettivi è incrementare anche la presenza di quelli italiani, introducendoli a questo mondo non solo come forma di investimento ma, soprattutto, per il fascino delle opere e per la loro capacità di arricchire e dialogare con gli ambienti contemporanei delle nostre abitazioni.

Nel 2024, quali canali predilige per la vendita una galleria di antiquariato gestita da under 35? 
MC: L’approccio a un nuovo cliente può anche avvenire online ma, se l’ambizione è vendere opere di un certo rilievo, non si può prescindere dall’incontro fisico. Oggi lo stato di conservazione è un aspetto troppo importante per essere tralasciato. Abbiamo la fortuna di essere a Milano, che gli stranieri frequentano. Parte del fascino di collezionare è prendere un aereo. È un peccato che, con il vuoto lasciato dal mercato londinese ormai in declino, non si riesca a organizzare, fra mercanti e case d’aste, una «old masters week» a Milano. Nel lungo periodo premierebbe.

G.C. e G.L.: Sin dall’inaugurazione della galleria abbiamo investito nel digitale non solo per attrarre una clientela più giovane, ma anche per entrare in contatto con collezionisti da tutto il mondo. Abbiamo partecipato a fiere come Brafa e Tefaf per costruire un curriculum che conferisca credibilità alla nostra professionalità e competenza. Per risvegliare l’interesse per l’antico nelle nuove generazioni abbiamo lanciato iniziative come la mostra «10 under 10» in collaborazione con Caiati Old Masters: opere d’arte antica con prezzo inferiore ai 10mila euro. Inoltre, annualmente pubblichiamo il catalogo Habitat, che presenta le opere in contesti abitativi reali. Questo approccio può rendere l’arte antica più accessibile e stimolare un dialogo anche con chi non colleziona antiquariato.

Riuscite a vivere di questo lavoro?
M.A.: Io non lo definisco un lavoro, ma un vero e proprio stile di vita che necessita di una costante capacità di adattamento. Essere galleristi oggi richiede passione, conoscenza del mercato e grande flessibilità. È un mondo in continua evoluzione e chi vive il settore deve essere pronto a cogliere le nuove tendenze e a comunicare con un pubblico sempre più diversificato. Ovviamente non è semplice: l’arte e l’antiquariato richiedono tempo per essere apprezzati e compresi e il mercato è imprevedibile. Il nostro approccio è non rimanere ancorati a un’unica formula. Abbiamo ampliato i canali di vendita integrando l’esperienza digitale con quella fisica, creando collaborazioni con designer, architetti e artisti contemporanei. Il nostro gusto si è evoluto, siamo più eclettici e giochiamo con accostamenti azzardati per creare spazi «timeless». Grazie a questa dinamicità possiamo ritenerci soddisfatti dell’andamento economico della galleria. Credo che vivere di questo lavoro non si riduca solo a un discorso economico, ma anche emotivo e culturale: la soddisfazione personale che deriva dal condividere il nostro amore per l’arte con appassionati, dal trovare il pezzo giusto per un cliente o dal vedere un’opera che torna a vivere a disposizione di tutti all’interno di un museo in un nuovo contesto, è estremamente gratificante.

M.C.: Sì, e non siamo certamente gli unici. Non sono più gli anni Novanta, ma questo non vale solo per noi.

G.C. e G.L.: Fare impresa in Italia è sicuramente una sfida e lavorare in un settore così di nicchia ha vantaggi e svantaggi. Negli anni siamo riusciti a costruire delle solide fondamenta e, grazie alla fiducia dei nostri clienti, riusciamo a vivere di questo lavoro. Veniamo entrambi da due esperienze quinquennali da dipendenti ed è stata una scommessa aprire una galleria d’arte antica in un periodo storico non favorevole al lancio di giovani imprese. Siamo molto soddisfatti, perché riusciamo ad applicare una gestione moderna in un settore «antico».

Cecilia Paccagnella, 07 novembre 2024 | © Riproduzione riservata

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