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Anna Brady
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Il Regolamento (UE) 2019/880, che entrerà pienamente in vigore il prossimo 28 giugno, probabilmente sconvolgerà il mercato dell’arte. Volta a contrastare il traffico illecito di opere d’arte e oggetti d’antiquariato, la legge richiede che i beni culturali di età superiore a 200 anni (250 anni per i reperti archeologici e gli elementi di monumenti e siti) e di valore superiore a 18mila euro (non è previsto un valore minimo per i reperti archeologici e gli elementi di monumenti e siti) importati nell’Unione Europea (UE) siano accompagnati da documenti che ne attestino l’esportazione in conformità delle disposizioni legislative del Paese di origine.
Parliamo dei cambiamenti in arrivo con l’avvocato Pierre Valentin, corresponsabile del Dipartimento arte, patrimonio e beni culturali dello studio legale Fieldfisher a Londra.
Qual è la sua previsione sull’impatto che il nuovo regolamento UE sui beni culturali sul mercato dell’arte e dell’antiquariato avrà all’interno dell’UE e sulle aziende che vi operano?
Il regolamento (UE) 2019/880 sta per dare una scossa al mercato. I settori del collezionismo più colpiti saranno l’arte e gli oggetti da collezione creati o scoperti al di fuori dei confini dell’UE. Il regolamento scoraggerà l’introduzione di beni culturali non europei nell’UE, con una conseguente perdita culturale deplorevole per le generazioni future. L’impatto per i collezionisti e il commercio potrebbe essere grave. I collezionisti dell’UE sono colpiti perché gli ostacoli introdotti all’importazione di alcune categorie di beni culturali probabilmente li scoraggeranno dall’acquistare al di fuori del blocco commerciale. Si tratta di una cattiva notizia per il commercio extra UE, in particolare per Londra, data la sua dipendenza dal commercio con l’UE. I commercianti extra UE saranno ulteriormente svantaggiati se espongono tradizionalmente le loro opere d’arte alle fiere d'arte dell'UE, poiché ora se continueranno a partecipare a queste fiere dovranno affrontare seri ostacoli. Anche per i commercianti dell’UE è una cattiva notizia, perché acquistare stock al di fuori dell’UE o attirare spedizioni extra UE diventerà problematico.
I vostri clienti sono preoccupati per l’introduzione di queste norme?
Sì, decisamente, soprattutto quelli che collezionano o commerciano in arte antica. In primo luogo, le norme richiederanno la presentazione di prove di esportazione legale dal Paese di origine, anche se l'esportazione è avvenuta decenni prima del giugno 2025. In precedenza nessuno era tenuto a conservare la prova della legalità dell'esportazione. Una volta esportata, la licenza di esportazione diventava irrilevante e veniva eliminata. Improvvisamente l’UE introduce nuove norme che da un giorno all’altro impongono agli importatori di dimostrare la legalità dell’esportazione. Spesso tale prova non esiste più. Nonostante il regolamento consenta di dimostrare la legalità dell’esportazione con mezzi diversi dalla licenza di esportazione, per la maggior parte degli oggetti si tratta di un’utopia, perché semplicemente non esistono prove. Né esistono prove di esportazione illegale. Tuttavia, il regolamento impone all'importatore l’onere di dimostrare in modo inequivocabile la legalità dell'esportazione, anche quando non vi è motivo di ritenere che l'oggetto sia stato esportato illegalmente.
In secondo luogo, vi è il problema dell’identificazione del Paese di origine. I confini nazionali odierni sono in genere linee rigide concordate attraverso trattati recenti o conflitti. Storicamente i confini erano spesso vaghi, basati su punti di riferimento naturali o definiti da zone di influenza piuttosto che da linee precise.
In terzo luogo, la questione di quando un oggetto ha lasciato il Paese di origine è spesso oggetto di dibattito. Supponendo che sia possibile accertare una data con un certo grado di certezza, la sfida successiva è identificare i controlli nazionali sulle esportazioni in vigore all’epoca. Ciò può portare a un esercizio di archeologia giuridica.
In quarto luogo, vi sono preoccupazioni relative ai ritardi nell’ottenimento della licenza di importazione, quando richiesta, e la quantità di dati necessari per richiedere una licenza o per presentare una dichiarazione dell'importatore. Ciò è particolarmente problematico per i commercianti non residenti nell'UE che tradizionalmente espongono in fiere d’arte che si tengono nell’UE, come Tefaf a Maastricht, Parcours des Mondes a Parigi o Brafa a Bruxelles.
In quinto luogo, gli operatori del mercato dell'arte non UE sono preoccupati per la perdita di affari con gli acquirenti dell’UE, che saranno saranno scoraggiati dall’acquistare a Londra, New York o Taiwan a causa delle ulteriori pratiche burocratiche, dei ritardi nel caso in cui sia necessaria una licenza di importazione, delle dichiarazioni da presentare «a norma di legge» e del rischio di sequestro e confisca. Quest'ultimo rischio è aggravato dal fatto che gli autori del regolamento non sembrano essersi resi conto che la sua formulazione è viziata: in base al cosiddetto «divieto generale», i beni culturali possono essere sequestrati e confiscati anche se sono stati importati legalmente nell’UE. Questo perché, ad esempio, se il Paese di origine di un oggetto non può essere identificato in modo affidabile, esiste una deroga che consente all'importatore di fornire la prova che l’oggetto è stato esportato legalmente dall’ultimo paese in cui si trovava da più di cinque anni. Tuttavia, in base al divieto generale, lo stesso oggetto può essere confiscato una volta che si trova sul territorio dell’UE se il proprietario non è in grado di fornire la prova della sua esportazione legale dal Paese di origine. Ci si ritrova così in una situazione kafkiana in cui un oggetto è stato importato legalmente nell'UE in base alle nuove norme, ma in base alle stesse norme viene sequestrato e confiscato una volta entrato nell'UE.
In sesto luogo, il regolamento è iniquo. Viene ribaltato il vecchio principio «innocente fino a prova contraria». Il regolamento presume che i beni culturali siano «contaminati» a meno che l’importatore non dimostri in modo positivo il contrario, adducendo prove della loro esportazione legale. Il detto è un principio fondamentale dei sistemi penali europei; le leggi che ribaltano l’onere della prova minano tale principio. Affinché un’inversione dell’onere della prova sia considerata legittima, deve essere giustificata e proporzionata.
Il regolamento è stato adottato per contrastare il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, ma i dati utilizzati dalla Commissione europea per giustificarlo sono tutt’altro che affidabili. Inoltre, la proporzionalità delle misure introdotte dal regolamento è altamente discutibile.
Quali settori del mercato saranno maggiormente colpiti?
Sotto i riflettori è il commercio di antichità. Collezionisti e mercanti di arte antica, manoscritti e sculture, in particolare se provenienti dal mondo islamico e dall’Asia, si preparano all'impatto. Le case d’asta e le gallerie che trattano questi oggetti dovranno sostenere costi di «due diligence» più elevati e gli operatori più piccoli potrebbero avere difficoltà a stare al passo.
Quali misure possono adottare i mercanti, le gallerie e i collezionisti per prepararsi all’introduzione del regolamento?
Innanzitutto, leggere attentamente il testo. Familiarizzarsi con il regolamento (UE) 2019/880, il regolamento di esecuzione e le domande e risposte della Commissione europea. Le dogane e i ministeri della cultura degli Stati membri dell’Ue stanno pubblicando opuscoli che descrivono il nuovo regime di importazione; vale la pena studiarli, perché gli Stati membri potrebbero non applicare il regolamento in modo uniforme. Assicuratevi di verificare il vostro inventario per identificare gli oggetti soggetti al regolamento. Una volta stilato un elenco, tenete conto del Paese di origine di ciascun oggetto, quando è stato esportato da quel Paese e se all’epoca fossero in vigore controlli sulle esportazioni, quindi cercate la documentazione che attesti la legalità dell'esportazione o persone che possano attestare la legalità dell’esportazione. Le dichiarazioni giurate di testimoni o esperti sono considerate prove accettabili. Prendete in considerazione anche il fatto che le compagnie di navigazione potrebbero aver conservato la documentazione di esportazione.
Quali consigli darebbe su come orientarsi nella normativa quando la prova della legalità dell’esportazione è difficile da ottenere o semplicemente non esiste? Esistono soluzioni alternative?
Se l’oggetto ha lasciato il suo Paese di origine prima dell'aprile 1972, la normativa consente di addurre prove che l'oggetto è stato esportato legalmente dall’ultimo Paese in cui si trovava da almeno cinque anni. La stessa deroga si applica se il Paese di origine non può essere facilmente identificato. In questi due casi, alcuni potrebbero essere tentati di depositare i beni culturali in un Paese favorevole all’esportazione, come gli Stati Uniti, per cinque anni, per poi esportarli da quel paese e addurre prove della loro esportazione legale. Molti paesi non hanno introdotto restrizioni all'esportazione fino agli anni ’70. Ad esempio, le restrizioni all’esportazione della Nigeria sono entrate in vigore solo nel 1979, quindi un’esportazione del 1975 sarebbe probabilmente accettabile. Se tutto il resto fallisce, le opinioni di esperti e le testimonianze legali possono talvolta far pendere la bilancia a vostro favore.
Non c’è il rischio che qualcuno sia indotto a falsificare documenti di esportazione o corrispondenza scritta al fine di dimostrare che un determinato oggetto è stato esportato legalmente? L’autenticazione di questi documenti probabilmente sarà difficile.
Senz’altro qualcuno ci proverà, ma è un azzardo molto rischioso. False documentazioni possono portare alla confisca, a pesanti multe e ad accuse penali. Quando un oggetto può essere importato presentando una dichiarazione dell’importatore, quest’ultimo potrebbe essere tentato di dichiarare che esso è stato esportato in conformità delle disposizioni legislative del Paese di origine, anche se non lo sa, e sperare per il meglio. Il problema è che la dogana può chiedere di vedere la documentazione che attesta la legalità dell’esportazione. Se si scopre che l’importatore ha prodotto una dichiarazione falsa, non solo può essere perseguito penalmente, ma l’oggetto può essere confiscato.
Si è parlato molto degli aspetti negativi della nuova normativa. Lei vede qualche aspetto positivo?
Certamente. Anche se il mercato soffre per l’aumento della burocrazia, la normativa comporta dei vantaggi. In prospettiva, è probabile che vi sarà una maggiore conformità ai controlli sulle esportazioni e una maggiore attenzione alla conservazione delle prove di esportazione legale. Questo, a sua volta, potrebbe aggiungere informazioni alla provenienza di un oggetto, aumentandone così il valore per lo studio e persino il valore monetario.
Un altro potenziale vantaggio è che i beni culturali illecitamente sottratti dalle zone di conflitto diventeranno più difficili da importare nell’UE.
Il mercato dell’arte britannico potrebbe trarne vantaggio, grazie alla maggiore facilità di importazione dei beni culturali nel Regno Unito rispetto all’UE?
Probabilmente sì, anche se il rischio è che la Gran Bretagna possa essere vista come più lassista, attirando così operatori indesiderabili e beni culturali «sporchi». Ciò, a sua volta, potrebbe danneggiare la reputazione del mercato dell’arte britannico.
In che modo le leggi del Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr) dell’UE si conciliano con l’obbligo di trasparenza previsto dal nuovo regolamento sulle licenze di importazione? Se le dogane richiedono agli importatori di divulgare tali informazioni protette, le leggi Gdpr dell’UE avranno la precedenza? Sono stati forniti consigli in merito?
Le dogane degli Stati membri dell’UE avranno accesso alle informazioni che gli importatori dovranno caricare nella nuova banca dati dell’UE che sarà lanciata questo mese. Tuttavia, ai sensi del Gdpr le dogane figurano come responsabili del trattamento dei dati, il che significa che, in linea di principio, possono utilizzare le informazioni raccolte solo ai fini dell’applicazione del regolamento. Se le informazioni richieste vengono caricate da un agente, quest’ultimo non è tenuto a rivelare il nome del proprietario dei beni. Ciò solleva la seguente domanda: gli agenti saranno disposti a caricare le informazioni richieste e a firmare «sotto pena di legge» a meno che non abbiano visto prove evidenti della legalità dell’esportazione dal Paese di origine? Probabilmente no.
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