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«Cowboy» (1991) di Richard Prince, con una stima di 1,5-2 milioni di dollari, è stato venduto da Christie’s New York il 17 maggio 2023 per 1.562.500 dollari

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«Cowboy» (1991) di Richard Prince, con una stima di 1,5-2 milioni di dollari, è stato venduto da Christie’s New York il 17 maggio 2023 per 1.562.500 dollari

Retromarcia per il mercato della fotografia (ma solo per quest’anno?)

Anche i numeri internazionali sono in flessione: cala il fatturato aste, top price (Prince) incomparabile al 2022 (Man Ray e Steichen), si spera nell’effetto Biennale. In Italia cresce l’attenzione per fiere, mostre e gallerie, ma rimaniamo indietro di almeno due zeri, non solo per i vincoli di esportazione

Luca Zuccala

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Doppio binario a velocità alternata. Anno: 2023. La sintesi meccanica di come sia andato il mercato della fotografia nella scorsa stagione potrebbe condensarsi in questa didascalia. Un’immagine plastica e, per sua natura, dinamica, le cui prime rotaie sono solcate da un abisso, quello tra la scala globale e il microcosmo nazionale. In Italia, ancora, i fotografi difficilmente raggiungono quotazioni sopra i 10mila euro; oltre le Alpi i picchi corrono fino al milione. Ci torneremo. 

Il secondo (binario) racconta di come le aste internazionali rallentino, mentre le fiere crescono e compensano i fatturati ridimensionati degli incanti. Dopo la sbornia del 2022, dove le aste di fotografia di Christie’s, Sotheby’s e Phillips hanno registrato un +25% rispetto al 2021 e +20% rispetto ai totali prepandemici (dati ArtTactic) nel 2023 si è bruscamente tornati sulla terra, con un calo nel comparto fotografico stimato per le 3 major tra il 15% e il 20%. Un esempio eloquente: nel 2022 Christie’s ha venduto i due lotti più preziosi di sempre per il comparto: «Le Violon d’Ingres» di Man Ray (12,4 milioni di dollari) e «Flatiron» di Edward Steichen per 11,8 milioni; nel 2023 lo scatto più costoso è stato un «Cowboy» di Richard Prince della Gerald Fineberg Collection da 1,6 milioni di dollari, il top price annuale più basso dell’ultimo decennio. E se anche si volesse allargare il perimetro, dati i confini sempre più spuri e dilatati della fotografia, il top lot si fermerebbe ai 4,9 milioni di un altro Prince, «Nurse Kathy», aggiudicato lo scorso maggio (tutti i prezzi sono stati riportati compresi dei diritti d’asta). 

Complesso analizzare cause e concause della perdita di appeal in asta della fotografia. Anche se potrebbe bastare (e avanzare) la constatazione della precarietà congenita del momento storico e la mancanza in sala di opere significative, non è da sottovalutare il progressivo incedere dei nuovi stimoli che ibridano il terreno fotografico. Una contaminazione su più livelli (tecnico, materiale, di linguaggi) che ha bisogno di essere toccata, sentita, narrata, esperita, preferibilmente in una fiera. Non sembrano, comunque, palesarsi elettrizzanti impressioni di luci all’orizzonte, ma allargando la prospettiva oltre le oscillazioni ondivaghe del settore aste, la fotografia solleva interesse da più direzioni, stimolando la nascita di nuove realtà e sostenendo la crescita di ciò che già esiste. 

Vedere per credere la Biennale di Venezia di quest’anno, dove il supporto fotografico è attore (anche protagonista) di molteplici installazioni, come amalgama di intenti multipolari e multisensoriali necessari a decriptare, o perlomeno provare a leggere, la realtà di oggi. Lato Novecento, in Laguna, da segnalare la presenza della sempiterna Tina Modotti, tra le punte di diamante della kermesse, in scena in queste settimane allo Jeu de Paume di Parigi. Aspettando le positive ricadute che avrà l’effetto Biennale sul mercato 2024, nel 2023 il segmento fiere ha tenuto orgogliosamente botta. E si è pure espanso, come dimostrano Photofairs, che ha debuttato a settembre al fianco di Armory a New York, e Photobasel, sbarcata a Miami a dicembre, negli stessi giorni in cui Nan Goldin (fresca di approdo nel roaster di Gagosian dopo una vita da Marian Goodman) veniva eletta regina della Power100 di «ArtReview», la raccolta annuale delle 100 figure più influenti nel mondo dell’arte stilata dalla rivista. Un percorso per certi versi analogo a quello di un’altra prima della classe, Cindy Sherman, che ha appena concluso una megamonografica a New York, da Hauser & Wirth (in scuderia dal 2021). 

Dallo scorso anno, nei suoi avamposti disseminati per il globo, Gagosian sta (ancora) celebrando il centenario della nascita di Richard Avedon con una serie di mostre dedicate. La stessa multinazionale ha annunciato la rappresentanza dell’eredità di Francesca Woodman e la nomina di un direttore esclusivo per la fotografia, il super curatore Joshua Chuang che avrà il compito di coordinare una strategia globale a lungo termine. Non c’è due senza tre, e l’ultima pala del trittico stampato a getto d’inchiostro spetta alla terza «big blue chip»: David Zwirner. La galleria ha appena inaugurato una retrospettiva su Wolfgang Tillmans nella sede di Hong Kong, dopo il passaggio autunnale nel quartier generale a New York. Il fotografo, tra le altre cose, ha da poco concluso una monumentale esposizione itinerante che ha lambito le due coste statunitensi, le atlantiche del MoMA e le pacifiche del SFMoMA di San Francisco. 

«Filled with Light» (2011) di Wolfgang Tillmans

Tre indizi che fanno una prova: i fotografi sono nella mente dei grandi galleristi di arte contemporanea, che hanno necessità di diversificare l’offerta e implementarne, strutturandolo, il mercato. Da qui, di riflesso, alle fiere. A dominare lo scenario, ça va sans dire, Paris Photo. L’edizione 2023, la numero 26, la prima della direttrice artistica Anna Planas, ha totalizzato 65mila visitatori (+7% rispetto al 2022) e ha visto la creazione di un nuovo settore dedicato alla fotografia digitale (curato da Nina Roehrs). Il riscontro più che positivo delle vendite (numerose quelle a sei cifre, su tutte due serie d’eccezione: quella di Grete Stern offerta dalla Julian Sander Gallery, venduta a una fondazione americana per 250mila euro, e quella di Dave Heath proposta da Howard Greenberg e passata di mano per 190mila euro) è stato influenzato dalla crescita dei collezionisti presenti: +10%, di cui il 40% dall’estero. La kermesse ha goduto e gode (e continuerà a godere nei prossimi anni) delle ali e delle arie di una città intera, Parigi, letteralmente in stato di grazia post Brexit, con una Olimpiade in arrivo, una crescita vertiginosa sul mercato globale, e, da quest’anno, un Grand Palais totalmente rinnovato. Oltre Manica, Photo London sta provando a prendere il volo sotto la guida del neodirettore Kamiar Maleki. La fiera londinese non ha ancora saputo fare il salto di qualità, cercando di posizionarsi come luogo privilegiato della fotografia contemporanea. La strada e l’identità, nel solcare e assecondare l’ibridazione totale del mezzo, sono giuste. Oltreoceano, invece, continua la corsa della Grande Mela, sorretta dalle «istituzioni» galleristiche e dall’universo delle aste (con i suoi milioni). Intelligente la politica di Phillips, con vendite monografiche ricamate su misura sull’asse Londra-New York, capaci di mettere a segno fatturati milionari, vedi i 4,5 milioni realizzati in un colpo solo a Park Avenue a ottobre. 

Il campo fotografico è dunque sempre più largo, supportato da un collezionismo che ne sfrutta i numerosi punti di ingresso e la permeabilità, come dimostra l’ambiguo limbo che lo separa dall’arte contemporanea. Emblematico il caso delle ultime edizioni di Art Basel, sia a Basilea che a Miami, nelle quali la fotografia sembra aver messo definitivamente le radici tra gli stand. Oltre l’affermazione, oramai consolidata, delle fotografe, sono entrate nel reame fieristico anche le testimonianze di fotografi afrodiscendenti, come Gordon Parks, Zanele Muholi, Frank Walter e Deana Lawson. Presenze che assumono un valore significativo soprattutto se analizzate in chiave sistemica. 

Se l’universo mondo chiama, l’Italia risponde a singhiozzo. Il Belpaese rimane ancorato a una dimensione marginale e provinciale. Alla vivacità e qualità dilagante, soprattutto in campo di metafotografia contemporanea, non corrisponde un’adeguata risposta del sistema, né un supporto critico, economico, strutturale. Scarsa visibilità, nessuna valorizzazione. Se la natura commerciale, dall’esiguo potenziale internazionale, contrassegna le fiere della Penisola, qualche sprazzo d’interesse lo garantiscono i Festival, da Fotografia Europea a Reggio Emilia alla Fondazione Mast di Bologna, curata da Francesco Zanot. E il mercato latita pesantemente. Sponda aste, si salva egregiamente Finarte il cui dipartimento dedicato fattura ben 1,3 milioni di euro annuali (raddoppiato in soli 4 anni). C’è da lavorare, sia a livello culturale che legislativo. Come ci racconta Davide Battaglia, Senior Specialist della casa d’asta milanese, fresca di ritorno nella sede storica di via dei Bossi: «La nostra legislazione è molto limitante in termini di esportazione, per la fotografia ancor più che per i dipinti: non possono lasciare liberamente il Paese le fotografie stampate più di 25 anni fa (per le opere d’arte il limite è 70 anni). Questo a volte crea rallentamenti che scoraggiano il cliente straniero ad acquistare nel nostro Paese». Top lot «Modena» di Luigi Ghirri (37.890 euro), che occupa il terzo gradino del podio (italiano) delle opere più care del 2023. Medaglia d’oro per «Untitled (Good)» di Barbara Kruger, battuta per 137.500 euro da Martini Arte. Il resto dei cataloghi si stabilizza su un range di poche migliaia di euro. C’è ancora molto da fare. Magari guardando oltre i «soliti» giganti (Ghirri, Vitali, Giacomelli, Jodice, Basilico, Fontana) verso quella metagenerazione che può far sognare stampando l’Intelligenza Artificiale ai sali d’argento.

Luca Zuccala, 20 maggio 2024 | © Riproduzione riservata

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