Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Giuseppe M. Della Fina
Leggi i suoi articoliARTICOLI CORRELATI
Il romanzo Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani si apre con una visita alla necropoli della Banditaccia a Cerveteri. L’autore fornisce diversi particolari: la data, una domenica di aprile del 1957; il momento della giornata, un primo pomeriggio; il fatto che non era solo, ma in compagnia di una decina di amici distribuiti su due automobili. Non si tratta di un artificio letterario: la figlia Paola Bassani ricorda la gita nel suo libro di memorie Se avessi una piccola casa mia (La nave di Teseo). Rammenta che erano insieme a Niccolò Gallo, uno degli amici più cari dello scrittore, con la sua famiglia e che era presente probabilmente anche Pietro Citati con i suoi. Si trattò di una gita piacevole e significativa per lui: Bassani scrive che lo spinse a riandare con la memoria: «agli anni della mia prima giovinezza, e a Ferrara, e al cimitero ebraico posto in fondo a via Montebello».
In particolare, le monumentali tombe etrusche, tra cui quella celebre dei Rilievi, su cui si sofferma, lo spinsero al ricordo delle tombe del cimitero ebraico della sua città natale e, pertanto, in una qualche misura, da quella gita scaturì l’idea di scrivere il romanzo che narra le vicende dei Finzi-Contini partendo proprio dalla tomba di famiglia che avevano scelto di farsi costruire. Destinata ad accogliere i discendenti, non accolse quelli deportati in Germania nel 1943, i quali «chissà se hanno trovato una sepoltura qualsiasi».
Protagonista di quelle pagine è una bambina Giannina, nella quale Paola Bassani si riconosce. È lei a suggerire che pure nelle tombe etrusche erano deposte persone che hanno vissuto e a condizionare la visita portata avanti «nel segno della straordinaria tenerezza di quella frase». È sempre la bambina a osservare che «nel libro di storia gli Etruschi stanno in principio, vicino agli Egizi e agli Ebrei» e, quindi, a far scattare l’associazione Etruschi/Ebrei. Un’associazione che ritroviamo, ad esempio, nel racconto L’eternità etrusca presente in Paroles d’etranger (Parigi 1982) di Elie Wiesel ambientato in un campus universitario statunitense.
L’attenzione di Giorgio Bassani si concentra sulla Tomba dei Rilievi e ci si può chiedere il motivo. La sua singolarità nell’ambito della necropoli della Banditaccia, sicuramente, ma probabilmente c’è qualcosa di nascosto, di profondo: il richiamo indiretto, se si vuole paradossale essendo in un contesto funerario, alla vita e a quella di ogni giorno attraverso la raffigurazione di oggetti di uso quotidiano. Ecco la sua descrizione della tomba: «adorna fittamente di stucchi policromi raffiguranti i cari, fidati oggetti della vita di tutti i giorni, zappe, funi, accette, forbici, vanghe, coltelli, archi, frecce». E altri oggetti ancora si potrebbero aggiungere, a comporre un elenco lunghissimo.
Una raffigurazione della vita, delle attività del vivere, che ritorna spesso, come ben si conosce, nelle raffigurazioni pittoriche presenti nelle tombe etrusche di Tarquinia, ma anche di Orvieto e Chiusi. Quasi a creare una continuità, un filo tra la vita e la morte.
La Tomba dei Rilievi, appartenuta alla gens dei Matuna, è databile nei decenni finali del IV secolo a.C., quando i Romani avevano iniziato già la loro espansione verso i territori etruschi: nel 396 a.C. erano stati in grado di conquistare Veio; tra il 358 e il 351 a.C. avevano saputo fronteggiare una reazione guidata da Tarquinia, la cosiddetta guerra romano-tarquiniese, conclusa con una tregua quarantennale, dalla quale Roma uscì decisamente rafforzata e l’Etruria, al contrario, indebolita. Bassani conosce la datazione che gli archeologi hanno dato alla tomba e prova a immaginare, lasciata volentieri «ogni residua velleità di filologico scrupolo», come scrive, ciò che la necropoli potesse significare per gli Etruschi di Cerveteri, posteriori alla conquista romana e che avevano assistito, seppure non come spettatori diretti, alla fine di un mondo. Lo scrittore ipotizza che per essi «almeno lì (e il loro pensiero, la loro pazzia, aleggiavano ancora, dopo venticinque secoli, attorno ai tumuli conici, ricoperti d’erbe selvagge), almeno lì nulla sarebbe mai potuto cambiare». In questa osservazione c’è lo svelamento di un aspetto significativo per provare a comprendere il culto dei morti nel mondo etrusco.
Altri articoli dell'autore
Con l’etruscologo Giuseppe M. Della Fina scaviamo nelle pagine di un romanzo o di un racconto e tra i versi di una poesia alla ricerca di oggetti di un passato lontano (per comprenderne il significato e il valore che perdurano nel tempo)
In Italia, dal Risorgimento alla fine della Seconda guerra mondiale, architettura e urbanistica della civiltà romana sono state punto di riferimento per individuare un passato di rilievo a cui ricollegarsi
Il 14 novembre 2020 si sarebbe dovuta tenere una giornata di studi dedicata all’attività dell’archeologo emiliano, ma, a causa della pandemia, le relazioni previste non vennero mai illustrate. Grazie a Odette D’Albo ora sono raccolte in un libro
Il Museo Archeologico Nazionale resta aperto durante la revisione dei percorsi e il riallestimento di alcune sezioni, in vista del 60mo anniversario dell’alluvione del ’66. Ne parliamo con il direttore Daniele Federico Maras