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Roberto Capucci nell’atelier di Roma con Esther Williams durante le prove dell’abito «Nove Gonne» nel 1957. © Archivio Farabola

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Roberto Capucci nell’atelier di Roma con Esther Williams durante le prove dell’abito «Nove Gonne» nel 1957. © Archivio Farabola

Sculture in porfido e abiti vermigli alla Casa Museo Zani

Comune denominatore di archeologia, moda e arte è proprio il colore dei tessuti di Roberto Capucci e delle opere della Fondazione Santarelli

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Aperta nello scorso dicembre da «Rosso Corallo», la mostra che esibiva il grande presepio trapanese appena restaurato (un’architettura settecentesca di corallo rosso e nero, avorio e marmi preziosi) della Casa Museo Fondazione Paolo e Carolina Zani a Cellatica (Bs), la «Trilogia Rossa» prosegue fino al 4 maggio con «Rosso Impero. Porfidi, marmi e pietre scolpite nella Casa Museo Zani» e «Rosso Moda. Roberto Capucci tra fuoco e cinabro», due itinerari fiammeggianti, intrecciati tra loro, ideati entrambi (come il primo) dal direttore della Casa Museo Massimiliano Capella, che presentano un nucleo di rare sculture di porfido e di altri marmi pregiati e nove vermigli abiti-scultura di Roberto Capucci (Roma, 1930).

Si tratta di nove creazioni abbaglianti, per forme e colore, di uno dei più grandi stilisti-artisti italiani, formato all’Accademia di Belle Arti di Roma, sperimentatore geniale nella moda come nei costumi per l’Opera e per il cinema, che non a caso dal 1980, lasciata la Camera della Moda, ha preso a esibire le sue invenzioni non in sfilate ma in mostre nei maggiori musei del mondo. Vere sculture di tessuto, le sue, dall’abito «Nove gonne» (1956), suggeritogli dai cerchi creati da un sasso lanciato nell’acqua, con cui sedusse anche l’America, alle spirali di «Cinabro», alle fiamme di taffetà di «Fuoco» (1995 entrambi), all’abito-scultura, da sposa ma rosso e oro, del 2009, passando attraverso altre «sculture» tessili non meno sbalorditive.
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Tutt’intorno, sui mobili antichi di Casa Zani, «Rosso Impero» riunisce nove sculture di porfido, pietra «imperiale» per definizione sin dall’Egitto tolemaico, per la durezza e la difficoltà di lavorazione ma soprattutto per il colore purpureo, attributo regale, cui lo storico dell’arte Dario Del Bufalo ha dedicato approfonditi studi confluiti in due volumi editi da Allemandi. Le sculture, provenienti dalla Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli di Roma, sono poste in dialogo con grandi vasi, scatole, anfore, bruciaprofumi della collezione di Casa Zani, in porfido anch’essi o in altri marmi preziosi, realizzati a Roma, in Francia e in Svezia tra il XVII e il XIX secolo, e con altri tesori lapidei delle sue collezioni.
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Fra i pezzi Santarelli figurano un rarissimo busto loricato dei primi decenni del III secolo d.C., con testa (non pertinente) di marmo bianco pentelico, una piccola testa di porfido egizio forse del IV secolo d.C., e busti, teste, vasi, urne, ma anche un prezioso mortaio con pestello, montato in bronzo dorato, questi realizzati tra l’ultimo Cinquecento e l’Ottocento. A commentarli, in catalogo, due specialisti della materia: Cristina Maritano (Palazzo Madama, Torino) e Giovanni Gentili.

Ada Masoero, 14 febbraio 2024 | © Riproduzione riservata

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