Elena Correggia
Leggi i suoi articoliAnche il viaggiatore più colto e avveduto spesso non sa resistere. Dopo aver esplorato in lungo e in largo continenti lontani, conosciuto civiltà millenarie, conquistato a fatica luoghi impervi ma di rara bellezza, cade sul finale, nell’indomabile tentazione del souvenir. Ma se, girovagando fra mercatini e villaggi, la febbre da ricordino assume le sembianze di un acquisto d’arte un po’ più importante, è fondamentale conoscere gli accorgimenti di base per evitare brutte sorprese imbattendosi nella trappola dei falsi. «A seconda del tipo di oggetto, di materiale e del periodo storico ci sono più o meno possibilità di accertarne l’autenticità mediante un’indagine scientifica», spiega Peter Matthaes, direttore del Museo Arte e Scienza di Milano (museoartescienza.com), che dispone di un laboratorio scientifico per l’accertamento dell’autenticità di arte e antiquariato. «Ci sono materiali databili come la terracotta e il legno, mentre i bronzi archeologici sono verificabili attraverso lo studio della patina, che se è naturale possiede una determinata composizione chimica».
Ma se si è lontani da un laboratorio di analisi come è possibile orientarsi per scongiurare incauti acquisti? I falsi di sculture bronzee del Buddha sono ardui da riconoscere. Tuttavia, qualche informazione si può trarre osservando accuratamente i dettagli, come l’acconciatura e il piedistallo, dato che i falsari usano spesso pezzi di vetro e tasselli decorativi su strisce di lacca preparati in serie e fusi in stampi. Se invece la statua è lignea e negli anni è stata lasciata a terra la mancanza di segni di corrosione della base è da ritenersi sospetta. «Quanto agli oggetti in terracotta che sono rimasti a lungo sotto terra, dovranno riportare non solo macchie di terra ma anche tracce di radici e licheni carbonizzati», spiega Matthaes. «Le incrostazioni non devono potersi togliere facilmente, quelle che si sono create secoli fa risultano coese alla superficie dell’oggetto e di colore grigiastro, infiltratesi negli strati profondi. Per smascherare le incrostazioni false è sufficiente provare a grattarle via e scoprire che al di sotto sono di colore bianco, ovvero si tratta di gesso poi sporcato con un po’ di terra».
Al centro di una fiorente contraffazione anche i manufatti in avorio, che in mancanza di altri strumenti possono essere osservati a occhio nudo o con una lente di ingrandimento. «In questo caso bisognerà verificare che siano leggibili le linee di Schreger, delle venature tipiche, linee di accrescimento del dente dell’elefante», precisa Matthaes. Se le porcellane cinesi invetriate sono praticamente impossibili da datare attraverso un’analisi scientifica, le lacche cinesi offrono qualche margine di manovra in più. «La laccatura era un processo molto lungo, che richiedeva una lavorazione strato su strato, anche di una trentina di strati sovrapposti che si lasciavano asciugare spesso su chiatte in mezzo a un lago. Di conseguenza, se si notano numerosi strati nelle incisioni è positivo, perché si tratta degli esemplari più antichi e pregiati», continua l’esperto. «Nell’Ottocento invece si è cominciato ad aggiungere dei riempitivi per ottenere uno strato più spesso da incidere più rapidamente, mentre dopo la metà del Novecento si sono utilizzate anche plastiche di diversi colori». Se è vero che la lacca autentica avvicinando la fiamma di un accendino incenerisce ed emana profumo, senza deformarsi, questa prova non è sempre risolutiva in quanto alcune resine plastiche moderne non producono necessariamente un cattivo odore, e talvolta sprigionano un sentore quasi floreale, che può trarre in inganno. «Infine se l’interesse cade su un manufatto d’uso è bene verificare che l’usura non sia omogenea su tutta la superficie, ma coerente con la sua funzione originaria, quindi concentrata ad esempio su manici o impugnature se si trattava di un utensile o sulle parti strofinate in caso di una statuetta per la venerazione», conclude Matthaes.
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