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Una veduta dell’allestimento della mostra «L’altra Pompei. Vite comuni all’ombra del Vesuvio»

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Una veduta dell’allestimento della mostra «L’altra Pompei. Vite comuni all’ombra del Vesuvio»

Storie di vita quotidiana a Pompei

Le classi più umili dell’antica città sono al centro della mostra inaugurata nella Palestra Grande del Parco Archeologico cui concorrono circa 300 reperti provenienti da nuovi scavi e dai depositi

Graziella Melania Geraci

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Il racconto della vita quotidiana di schiavi, prostitute, panettieri o venditori ambulanti, dei ceti meno abbienti che rappresentavano circa l’80% della popolazione, è al centro della mostra «L’altra Pompei. Vite comuni all’ombra del Vesuvio», nella Palestra Grande del Parco Archeologico di Pompei fino al 15 dicembre 2024: uno sguardo alternativo alla società dell’antica città con un percorso espositivo di circa 300 reperti, molti mai esposti prima, provenienti dai nuovi scavi (Civita Giuliana e non solo) e dai depositi. Un universo che «parla di un mondo classico che non ha la bellezza e la civiltà che ci è stata trasmessa e che pone delle domande su quella nobile semplicità e quieta grandezza definite dal Winckelmann», ha dichiarato il direttore del Parco Gabriel Zuchtriegel, curatore della mostra insieme con Silvia Martina Bertesago. L’itinerario ripropone in sette sezioni l’esistenza delle classi indigenti, dall’infanzia alla morte, dalla religiosità al cibo e all’abbigliamento.
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«La mostra, pensata come percorso di vita, continua Zuchtriegel, offre scorci di umanità. Non si avvale di opere artistiche spettacolari ma il racconto è costruito con materiali poveri, con i calchi delle vittime, con le immagini date dagli affreschi che restituiscono aspetti della vita comune. A volte abbiamo tentato di creare contrasti, come ad esempio tra la rappresentazione del bambino felice, un tema ricorrente dell’arte antica, e un numero elevato di stele funerarie su cui è inciso il nome dei bimbi deceduti o l’anno di vita che hanno raggiunto; questa contrapposizione esprime molto di più di tante parole». Così la tavola imbandita con il pane, elemento primario per il sostentamento dei poveri, nella sezione dedicata all’alimentazione, fa da contraltare agli affreschi dalle rappresentazioni opulente con pasti raffinati. 
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Copie dei calchi dei letti e la ricostruzione degli ambienti degli schiavi della Casa del Larario di Pompei e di quello di Civita Giuliana offrono un focus sulle dimensioni reali dello spazio vitale personale, di come a seconda della volontà del proprietario, cambiassero le condizioni dello schiavo. Un’armilla d’oro trovata a Moregine con l’iscrizione «Il padrone alla sua schiava», come quella del piccolo affresco con una donna che lava i piedi a una figura maschile, mostra l’utilizzo sessuale personale delle schiave in casa. Frammenti carbonizzati di stoffa o di suola di sandali accompagnano tracce lasciate sui calchi dai tessuti e sculture dai ricchi panneggi a rimarcare la differenza del «tunicatus populus» che possedeva come unico vestito solo la tunica.
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La mostra indaga anche il gioco e l’idea dell’aldilà grazie anche al supporto di apparati multimediali sviluppati da Studio Azzurro. Immersione e identificazione che avvengono anche con l’app My Pompeii che in una specie di sorteggio affida l’identità di un antico abitante pompeiano e un ambiente del Parco a cui la sua attività è connessa.
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Graziella Melania Geraci, 18 dicembre 2023 | © Riproduzione riservata

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